martedì 12 luglio 2011

Un passaggio

L’inizio settimana è già duro di suo, e a peggiorare la situazione ieri è arrivata da K% la proposta, ovviamente non desiderata, di accompagnarmi in macchina al lavoro.
Sto cercando di tenere le distanze, dopo quello che è successo. A mente lucida, sono convinta di non volermi assolutamente mettere con lui, che invece, in un modo o nell’altro, cerca di essere presente ogni giorno.
Sto violando molte delle mie regole: i fatti miei sono meno privati, comunico con gli altri attraverso un blog! Quasi spero che tu stia sbirciando le righe qui sopra, K%. È stato difficile scriverle, sarà difficile per te leggerle, ma così stanno le cose.
Voglio essere chiara. Camminando con calma sono in ufficio in mezz’ora e, a meno di diluvi estivi, dovrei farcela da sola!
Il passaggio avrebbe accorciato il tempo che impiego ad arrivare, tempo che passo in buona parte a ripetere mentalmente un elenco infinto di imprecazioni contro i colleghi. Non voglio perdere le “buone” abitudini, perciò ho rifiutato la cortesia.
Il mio posto di lavoro è un piccolo ufficio ricavato da un soppalco che domina una galleria d’arte. Gli spazi espositivi sono grandi; al piano interrato c’è addirittura un locale dotato di bar, pista e divanetti. Con me ci sono due ragazze che si occupano di marketing, il capo e il suo segretario, entrambi esperti d’arte. Io tengo in ordine le carte. Non si può dire che io segua la contabilità, visto che il commercialista e le paghe sono servizi esterni, diciamo che sposto fogli, inserisco dati nel computer, controllo ordini e fatture.
Fosse per me, starei tutto il giorno a poltrire, i miei potrebbero mantenermi senza problemi, ma un’alleanza tra la Dottoressa e mio padre ha decretato che uno stage part-time in un ufficio facesse al caso mio. Domani però scoprirete perché sia stata una pessima idea! (segue l’eco di una risata malvagia)

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lunedì 11 luglio 2011

Siamo foglie

Vorrei tornare su quanto accaduto sopra un letto non proprio di mia proprietà. Aiuta a capire come si sono ingarbugliati i rapporti con K%.
Si è trattato di un paio di baci; mi sono subito resa conto dei guai in cui mi stavo cacciando e mi sono bloccata. È stato buffo, avevo ancora le labbra incollate alle sue, quando una specie di scossa ha preceduto una paralisi di ogni mio muscolo! K% ha capito al volo, ha fatto armi e bagagli e si è allontanato.
Ci siamo alzati entrambi storditi: l’espressione di K% era quella di uno che non riesce a tenersi dentro un’esplosione di pensieri assortiti.
L’ho subito ignorato, e ho iniziato a guardarmi intorno. Che vergogna! Devo seriamente cercarmi un ragazzo, o la prossima volta salterò in braccio al mio capo!
C’era molta luce nella stanza, forse più di quanta ne avessi notata entrando. A parte l’imbarazzo, sarebbe dovuto essere divertente fare i deficienti nella stanza degli altri. Invece... quel posto era triste come un cimitero. Non parlo del disagio calato su di noi come una pesante coperta, e nemmeno del fatto che quel luogo fosse disabitato da diverso tempo.
È come è stata lasciata la camera da letto: i mobili non sono stati spolverati, c’è una tua canottiera, quella con Titty sotto l’ombrello, gettata a terra. Un libro ha abbandonato la compagine dei propri simili e sta appoggiato per lungo, anziché in verticale. La gardenia non è stata curata, e le foglie si sono accartocciate in secchi rotolini che del verde conservano solo il ricordo. È un cattivo presagio, ma si può recuperare, credo!
Saranno stati i dettagli, sarà stato il senso di colpa, ma il mio umore è cambiato. Ho lanciato un’occhiata a K%, che non ha ricambiato, tutto preso da un preistorico Tomb Raider, come se si illudesse di poter far finta di niente. In fondo ciò che è successo non ha importanza, anzi sono stata rimpiazzata con Lara Croft!
Due promesse: rimetterò in ordine questo posto, e cambierò federe e lenzuola!

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domenica 10 luglio 2011

Happy End

Ci sono sviluppi positivi. Ne racconterò appena mi riprendo. Il blog non mi è stato granché utile in questo senso, ma è stata un’esperienza notevole. Troppo breve per darne un giudizio a freddo, mi limito quindi a “notevole”.
So che sei in giro e so che va tutto bene. Ho smesso di preoccuparmi. So che tornerai, come sempre, ma finché non sei a dormire nella stanza accanto alla mia non demorderò! E scriverò ancora! Ciao

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giovedì 7 luglio 2011

Porta aperta

Ho abbassato la maniglia e spinto. K% è schizzato dentro e tempo un secondo era già in ammirazione davanti alla tua roba. O almeno è quanto credo possa essere successo, visto che io tenevo lo sguardo fisso a terra. Non oso pensare fino a che punto ti possa innervosire l’idea di uno che gira senza controllo, a mettere le mani sulle tue preziose collezioni, ma in fondo un po’ di sofferenza te la meriti!
Sono rimasta ferma sulla soglia un po’ di tempo, per fortuna K% non ci ha fatto troppo caso, tutto preso ad accendere una PlayStation primo modello, di cui ammiro sempre la testardaggine con la quale è sopravvissuta a tutti questi anni. Quante volte ti ho vista montarla e smontarla!
Uno, due passi, le gambe che tremavano, ho saggiato il tappeto con la punta del piede, quasi con il timore di sprofondare. Non c’era il tuo portatile a terra, e, ovviamente (ma cosa mi aspettavo?) non c’eri tu, e nemmeno una tua mutazione in chissà quale tipo di insetto.
Non ho guardato con quale CD armeggiasse K%, sono andata direttamente verso il letto. Mi ci sono buttata sopra, e ho immerso il viso nel cuscino, a cercare il tuo profumo. Ho perso il senso del tempo e non so quanto sono rimasta sopra quelle lenzuola. So solo che quando ho ripreso contatto con la realtà, K% era sdraiato al mio fianco, ed era quello che desideravo.
Gli ho sorriso, dai miei occhi deve essere partito un raggio traente come quello di Star Trek, e in un attimo me lo sono ritrovato addosso. Con il suo peso mi ha schiacciata, ma non mi è importato: due baci interminabili mi hanno fatto dimenticare ogni dolore.

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martedì 5 luglio 2011

Porta chiusa

Quando è pronta la cena vorrei venire ad aprire la porta della tua stanza e chiamarti. Ti troverei, come sempre, seduta sul tappeto a trafficare col portatile. Da quando non ci sei, quella porta l’ho sempre vista chiusa e non ho mai osato toccarla. Mi ricorda il fosso che si è formato tra noi, e mantiene vivo il mio dolore. Se l’aprissi, rischierei di perdermi nella disperazione. Però sarebbe bello, sarebbe da provare: entro nella stanza e ti trovo lì.
La porta mi sfida, immobile e geloso custode dei segreti che nasconde. Mi spinge ad odiarla e a volte ad odiare anche quello che hai nella tua camera. Vorrei dare fuoco a tutto.
Quando sono più nera del solito, coinvolgo anche te nelle mie fantasie, salvo poi pentirmene e vivere ore di sensi di colpa.
Ti immagino abbandonata sul tappeto, con le gambe divaricate, le cosce inzuppate di sangue (dov’è il neonato? Non lo sento urlare), o con gli intestini fuoriusciti da uno squarcio del ventre, ad avvolgere il portatile come tentacoli di una piovra.
K% mi ha chiesto se potevamo entrare: è attratto da tutti i giocattoli elettronici che conservi. Non prendertela, in passato ci ha già messo le mani. Potevo continuare a fingere che questa parte della casa non esistesse? Ho colto l’occasione per darmi una svegliata.
Non gli ho detto che la notte, quando passo davanti alla tua porta per andare in bagno, mi sembra di sentire rantoli inumani, e nemmeno l’ho avvertito che, aprendola, avremmo potuto trovare una gigantesca mantide ad occupare tutto lo spazio disponibile. L’insetto avrebbe strappato la testa di K% in un sol colpo, e poi avremmo banchettato.

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domenica 3 luglio 2011

Due gelati

Come sapete è passato a casa mia K%, un ottimo amico che ha iniziato a farsi risentire dopo la rottura con la sua ragazza. Si era eclissato negli ultimi mesi e ritrovarlo in chat mi ha fatto piacere, così come è stato bello condividere un gelato in una giornata a dir poco torrida!
A proposito dell’anonimato che mi circonda, estremizzare questo aspetto di cui sono tanto orgogliosa può attirare effettivamente diversi “followers”. Ma anche tanta gente strana, con in testa una curiosità morbosa, che prova a indovinare “@hotmail”, “@gmail” eccetera e si mette a caccia, lasciando stupidi messaggi privati. Lasciamo stare, ma visto che qualcosa è successo, non è detto che non torni sull’argomento.
Quello che mi chiedo è se sia “sano” lasciare in giro le proprie foto e i recapiti o rischi di farci sentire più nudi e indifesi. Per la cronaca, né io né K% siamo su Facebook, e lui nemmeno ha un suo blog. Mi fermo qui, o penserete che siamo due anziani che borbottano sulle abitudini altrui. In ogni caso, ben vengano le vostre opinioni.
Ah, su K%: in questo caso non ho mascherato molto, visto che è il suo nick in chat, e comunque nel suo nome c’è una lettera “C”. La percentuale l’ho aggiunta io, perché giudica le birre solo in base alla gradazione alcolica: le migliori ce l’hanno alta.
Altra parentesi: mi sono accorta di odiare il concetto di “follower”. Mi sembra sbagliato come termine, fa pensare ai membri di una setta; diventa un metro di giudizio sulla qualità del blog, che è una pura idiozia, e implica anche una malcelata intimità tra sconosciuti, che mi fa venire l’allergia! Prima o poi dovrò ammettere che la mia mente sia pronta per l’ospizio. Oppure cercherò un sinonimo.
Sto divagando di nuovo. Volevo scrivere che K% mi ha dato un’idea per un paio di post che penso metterò online nei prossimi giorni, ma non subito.
Prima, devo raccontarvi un passo importante compiuto insieme a lui, e non si tratta di quello a cui starete tutti pensando!
A presto miei... followers!

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venerdì 1 luglio 2011

Secondo tempo

La presenza di mia sorella in balcone, chiusa fuori, non era l’unico dettaglio anomalo della faccenda. Al contrario dell’ultima volta in cui l’avevo vista, sfoggiava un aspetto cadaverico e difficilmente potevo giustificare i bulbi bianchi che si protendevano oltre le orbite come un vezzo dettato da una qualche moda giovanile. Sembrava che ci fosse un dito dietro ciascun occhio, a spingerlo in fuori e a muoverlo in tutte le direzioni, nel vano tentativo di catturare la mia immagine.
Scattai a sedere sul letto,  il massimo che il mio istinto di sopravvivenza fu in grado di elaborare come via di fuga. Incapace di muovermi, aspettavo che il mio destino, qualunque esso fosse, si compisse al più presto.
Il mostro là fuori colpì il vetro con il palmo della mano destra. Una crepa si propagò a raggiera, finché la portafinestra esplose, proiettando frammenti di vetro all’interno della stanza.
Chiusi gli occhi e li coprii con le mani, ancora stupidamente seduta sul letto. Un’improvvisa secchiata mi sferzò violentemente da capo a piedi. Sentii in bocca il sapore dello zucchero. Appena l’ossigeno si fu fatto strada fino ai polmoni, arrivò la seconda ondata, e una corrente dal basso cominciò a allagare il letto.
Il livello dell’acqua nella stanza saliva, e io con lui, e ben presto finì lo spazio per respirare. Trattenni l’aria e cominciai a inabissarmi. Quando riuscii ad aprire gli occhi la vidi: mia sorella, nuda, bella come non mai. Il liquido aveva levigato il suo corpo, e forse anche il mio; lo aveva pulito e rimpicciolito.
Sono più giovane di te, ma se fossimo state gemelle, questo sarebbe stato il nostro congiunto affacciarsi alla vita. Una fugace serenità mi ha pervaso nel momento in cui, aperti gli occhi, ho capito quanto può essere dolce la morte.

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