sabato 29 ottobre 2011

Aracnofobia

Ci pensavo l’altro giorno: mi è capitato, mi pare più di una volta, di paragonarmi ad un ragno.
Mi piace.
Ho tessuto pazientemente una trappola in cui far cadere Y.
Ho sbagliato di grosso, sottovalutando le proporzioni: la mia ragnatela è nascosta in un angolino. Chi passa può vederla solo se alza lo sguardo. Sono rimasta rannicchiata nella parte alta dello stipite di una porta e troppo tardi mi sono accorta che le stanze del palazzo sono milioni.
Quello che faccio adesso è correre giù per il muro e sparire.
La mia ragnatela resterà a sfilacciarsi col tempo, o sarà spazzata via.
Ci sarà qualche nuovo ospite che si chiederà dove possa essere capitato.
Spero per lui che si liberi in fretta dai filamenti viscosi.
Io l’ho appena fatto.

venerdì 28 ottobre 2011

Un orgasmo

Hai parlato quasi sempre tu, mentre io restavo a guardarti inebetita. La tua sola presenza bastava a stordirmi, eri (sei) tutto quello di cui avevo (ho) bisogno.
Non hai citato casa nostra, ora hai il tuo mondo di storie e di illusioni dove rifugiarti. Roba che covava da tempo, che forse fa un salto di qualità. Ora che so dove sei, e che non sei ostile, so di poter tornare ogni tanto a dare un'occhiata a questo tuo mondo.
Ho cercato di essere lucida, quasi distaccata. Ho provato a controbattere ad argomenti su cui non ero d'accordo. Ma una parte di me, quella meno razionale, assorbiva ogni dettaglio del nostro incontro e mi faceva emozionare con le sensazioni dei nostri ricordi più belli.
Ci sono tonnellate di pensieri che non sono ancora riuscita a condividere con te, Y. Una parte è scritta nei post pubblicati. Tutto il resto uscirà dalla mia bocca, a suo tempo, parola per parola.

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giovedì 27 ottobre 2011

Noi

Ho ingollato chissà cosa da una lattina trovata in giro, giusto per darmi un tono davanti ai tuoi amici.
Mi vergognavo. Non penso sapessero chi io fossi, ma mi vergognavo lo stesso.
In fin dei conti due “Mister” già lo sanno. Mi sono arresa, ho dovuto fare il primo passo, e per cominciare punirmi in pubblico, srotolando a fatica i miei sentimenti e la mia coscienza.
Eri dall’altra parte della città, fisicamente ma soprattutto mentalmente. Non eri arrabbiata con me, non era questo il motivo per cui non mi parlavi più. Semplicemente, ma questo riduce appena il dolore, mi hai ignorata perché nella tua testa non c’era abbastanza spazio per me, ma solo per i tuoi pensieri, i progetti, la ribellione.
Al solito, torno ad essere in bilico tra amore e odio. La lotta tra i miei sentimenti è in corso e lo sarà per una vita, ma almeno posso dire di capirti un po’ di più.
Forse, e sottolineo forse, sto capendo un po’ di più anche me stessa.

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mercoledì 26 ottobre 2011

Meno tre

Ancora tre post dopo questo, giusto per tirare le somme. Avrei potuto chiudere tutto già da un po’.
Nessuna crisi, né noia, né altre lamentele in cerca del “ti prego continua”.
Semplicemente, la storia è finita. Quella virtuale, almeno. I miei post sono scollegati dagli eventi, scrivo sempre dopo qualche tempo che si sono verificati. Se sono tornata a scrivere qui è perché ci avevo quasi (ripeto, quasi) fatto l’abitudine. E io sono abitudinaria. Sarà difficile dire addio.
Il mio rapporto con Y ha trovato una nuova svolta. Una delle tante che caratterizzano il nostro rapporto tormentato, coi suoi alti e bassi. Con la voglia di complicità e l’affetto, ma anche con le piccole invidie e le forzate sopportazioni, come penso sia normale tra sorelle.
Questo nuovo capitolo va vissuto lontano da tastiere e illusioni. Niente bit, né autocommiserazione.
Solo aria e carne, mani nelle mani, corde vocali e timpani, occhi che guardano altri occhi.
Penso di essere cambiata, ma mi sto dilungando in queste parole finali.
È evidente: odio ancora gli addii.

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lunedì 24 ottobre 2011

Nessun problema

Vedo che hai sempre tanto da fare.
No, non mi manca quel buco di ufficio.
Dai, in generale va tutto bene.
Lo so, non sono un animale notturno...magari ci si incontra in giro, di nuovo.
Bla. Bla. Bla.
Di punto in bianco gli chiedo se ha sentito mia sorella, visto che io invece non ho notizie da tempo.
Ha incassato il colpo, perché mi ha guardato confuso. A sbloccarlo devono essere stati i miei occhi.
Mi ha dato l’indirizzo, avvertendomi però che l’avrebbe messa al corrente del mio arrivo.
Nessun problema, ormai sono pronta a tutto.

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domenica 16 ottobre 2011

Exit strategy

Succede all’improvviso, e dura il tempo di un lampo.
G riaccende il motore, distogliendomi dai pensieri. Mi fa cenno di voler parcheggiare davanti al furgone, forse per bloccarne la fuga; si sarà immedesimata un po’ troppo nel ruolo di spia, o sarà stata un’idea geniale di Volpino.
In quel momento, dalla galleria d’arte esce Mister C. Controlla un foglio di carta, poi si accorge di me.
Al rallentatore, solleva la testa, guarda prima la macchina che fa qualche goffa manovra davanti al furgone, quindi me, dall’altro lato della strada. Sembra stupito, ma le labbra si allargano in un sorriso.
Non è come Mister X o gli altri del giro di Y, è uno a cui piace farsi vedere e che con me cederebbe sicuramente a qualche domanda di troppo.
Per questo, con enorme sforzo, cerco di sembrare sicura mentre vado da lui.
Sorrido.

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sabato 15 ottobre 2011

Un segreto

Lasciamo per un attimo correre la fantasia. Diamo pure per assodato che la mamma abbia notizie: non riesco a capire perché tenere il segreto in famiglia. Forse ti ha aiutata e non lo deve sapere nessuno. Ma perché tenermi fuori, troppo assurdo per avere un senso.
Parliamoci chiaro, se avevi intenzione di parlare con me o scrivermi in chat potevi benissimo farlo anche dal deserto più sperduto. Il fatto che tu l’abbia evitato, devo essere sincera, inizia a ferirmi.
Non so davvero cosa pensare. Chiudo questa pagina di diario con una sensazione di fastidio che difficilmente mi scrollerò di dosso.

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venerdì 14 ottobre 2011

Piccola confessione

Alla fine, la sera delle foto ho deciso di confessare alla mamma i dettagli che mi aveva riferito Mister X. Forse mi odierai per questo, ma ho capito che andava fatto. Non sopportavo l’idea di lasciarla in ansia, tenendola all’oscuro di un fatto di non poco conto.
Adesso sono sicura che mi prenderai per paranoica: mi è sembrata contenta, ma non sconvolta, dalla notizia che sei viva e che stai bene. Forse, come me, se lo immaginava.
Oppure?
Non dico che abbia recitato, è difficile spiegarlo, ma la mia sensazione del momento è stata che quasi non sembrasse SOPRESA. Ecco, il termine giusto è sorpresa. A dirla tutta, sembrava sollevata che lo sapessi anch’io. Non le ho detto di questi miei dubbi, altrimenti altro che Dottoressa!

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mercoledì 12 ottobre 2011

Pole position

Gira la chiave e accende il motore. Mi sorride e mi assicura che va tutto bene.
Stacco la mano di G dal volante, la stringo forte.
Volpino, seduto dietro, combatte l’imbarazzo aumentando il volume negli auricolari. Overdose di elettropop, sentenzierà il medico legale.
Accelera, in un attimo siamo a caccia. Le chiedo di fare un giro largo, mi serve tempo per controllare i nervi.
Provo anche a fare due chiacchiere, ma il nostro ospite è in vena di fare l’idiota. L’umore migliora e capisco perché ce lo siamo portati dietro.
Quando arriviamo alla galleria il furgone è già parcheggiato davanti.
Smonto dalla macchina e aspetto.

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martedì 11 ottobre 2011

Count Zero

Il tavolo di un pub. Magliette colorate. Ad un primo sguardo sembra un qualsiasi gruppo di studenti che se la spassa in compagnia, ma in mezzo ci sei tu.
Non sei al centro della foto, ma mi cattura subito il tuo sorriso, congelato per sempre nel formato Jpeg.
Bottiglie. Locandine di liquori. Una tua amica ti abbraccia e scherza con l’obiettivo. Distolgo lo sguardo. Mi imbarazza, mi fa arrabbiare. Ti diverti, mentre io soffro per te.
I colori sono strani. Siete immersi in una nuvola di nicotina, o i miei occhi sono bagnati dalle lacrime. Mi viene l’impulso di rovesciare il portatile a terra, poi ragiono.
Cinque facce. Tre non le riconosco, due sì. Ci sei tu, e c’è un tipo che sbadiglia.
A noi due, Mister C.

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lunedì 10 ottobre 2011

Count down

Devo ammettere di essere partita con una certa foga. Forse mi credevo un’investigatrice, forse ero particolarmente tesa per la situazione e volevo mettere in pratica la prima idea che mi passava per la testa.
Un diario in rete, per intrappolarti in questa tela che sto faticosamente tessendo (ecco, ora mi sto immaginando a digitare sulla tastiera con le zampe pelose di un ragno!) e instaurare così un contatto con te.
Un piccolo problema: più proseguivo, più mi accorgevo di non andare avanti per niente! Quello che sto scrivendo qui potrebbe addirittura darti fastidio perché certo non vuoi che la storia venga sbandierata ai quattro venti.
Se è successo quello che è successo, è perché ho mollato la tastiera e mi sono data da fare.

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sabato 1 ottobre 2011

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Casa nostra. Loro, se preferisci. Mia.
Una ripresa dal cortile, dal basso verso l’alto, i muri ti sovrastano e immagino siano soffocanti da fuori così come da dentro.
I nostri genitori ci vogliono bene, ma la loro vita è troppo diversa dalla tua. Io invece mi adatto, divento un camaleonte, mi faccio trasportare dalle abitudini giorno dopo giorno.
Hai scattato la mattina presto, ma le finestre della mia camera erano già spalancate: ero già uscita, possiamo anche dire scappata, il prima possibile.
Andavo a lavorare alla galleria, uscivo di casa prestissimo, prima che tutti si svegliassero, stanca di quelle stanze ma al tempo stesso senza una vera possibilità, o volontà, di allontanarmene davvero.
Non avevo, non ho, il tuo coraggio.

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venerdì 30 settembre 2011

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Scie di luci nella notte: lampioni finestre insegne traffico. Ti immagino appiccicata al finestrino di una macchina, a catturare un frammento di città dall’alto di un cavalcavia.
La sola idea di quanta vita pulsi al di là dell’obiettivo genera in me una vertigine. Provo a cercare il tuo riflesso sul vetro, ma c’è troppo disturbo. Immagino che stare seduta a guardare non ti bastasse, so che avresti avuto voglia di diventare tu stessa il mantello scuro che avvolgeva la città, per vedere sentire essere contemporaneamente tutto.
C’è stata un’auto che correva con te nella notte, chissà io dov’ero e cosa facevo nello stesso momento. Il file ha una data, ma significa ben poco: la mia vita non ha sussulti particolari da ricordare e ogni giorno si confonde con il precedente. Ad una certa ora della sera, sul presto, infilo la testa sotto il cuscino e lascio fuori tutte queste luci nella notte.

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giovedì 29 settembre 2011

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Un tavolo di legno, così pieno di bottiglie che a stento ne distinguo le assi. Siete in un pub, non credo che qualcuno in casa terrebbe appese alle pareti vecchie locandine di liquori ed una targhetta che indica la direzione dei bagni.
Cinque facce. Due si sorridono tra loro da un capo all’altro del tavolo. Una è impegnata a sbadigliare, due guardano nell’obiettivo. Tre non le riconosco, due sì.
Tu mi stai sorridendo, distolgo subito lo sguardo. Seguo la spalla, il braccio, la mano. Reggi una birra. Asahi, direi. Buona. Mi viene voglia di bercene una insieme, adesso che non ci sei.
Ti abbraccia una ragazza, fa la lingua rivolta verso chi vi fotografa. Simpatica, ma mai vista prima, e non me ne stupisco. Non siamo uscite quasi mai insieme e quindi non conosco quelli del tuo giro.
Mi rassicura, comunque, avervi riconosciuti in due: quello che sbadiglia è Mister C.

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mercoledì 28 settembre 2011

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Una scheda elettronica ripresa da vicino. Scorgo il marchio Capcom, caratteri bianchi all’interno di un rettangolo dal bordo sottile. Mi colpisce la serie di moduli di memoria che si stagliano neri in formazione militare sulla lastra verdastra.
Scorgo quasi una certa poesia nei componenti predisposti in spigolose geometrie. Fori che resteranno vuoti, e connettori che svettano in spasmodica attesa. Numeri e sigle calpestati da decine di piedini metallici.
Non so cosa ti attrae davvero in tutto in questo, mi piacerebbe capirci qualcosa. Credo che per te sia più facile leggere un circuito stampato che i sentimenti di chi ti sta vicino. Meglio così?
Facciamo un patto: io mi studio un po’ di elettronica e tu sviti una testa e vedi cosa c’è dentro. Per partire con qualcosa di facile, ti offro Volpino come cavia!

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martedì 27 settembre 2011

Memoria flash

È da un po’ che non scrivo, e mi rendo conto da sola di cosa significa. Ne ho viste svolazzare tante nella rete, di pagine personali che finiscono lasciando in sospeso il frammento di vita che stavano raccontando. Sfumato l’entusiasmo iniziale, sto per digitare l’ultima serie di post. Affiderò queste mie parole alla prima corrente di bit e le lascerò andare alla deriva.
Io stessa sono un po’ troppo al largo.
Ti odio, ti voglio bene, mi odio, mi voglio bene.
Vorrei che tu fossi qui, altre volte ti voglio lontana. Vorrei essere come te, poi invece vorrei che tu fossi come me.
Oggi per dispetto mi sono messa la tua maglia a righe nere e giallo senape, nei giorni scorsi ho messo a posto la tua stanza, visto che ai miei non sembra interessare nulla.
Ho spolverato, curato la piantina, piegato vestiti che erano già a posto. C’era il tuo cellulare sul comodino, l’ho preso. Mancava la SIM, ma c’era la scheda di memoria.
L’ho messa nel computer. E questo è quello che ci ho trovato.

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martedì 20 settembre 2011

L'uva

Quando ancora lavoravo alla galleria, G si è presentata per chiedere informazioni sull’affitto per una festa privata del piccolo locale al piano interrato. Si trattava di una richiesta nuova per noi: generalmente gli eventi vengono organizzati direttamente dai nostri collaboratori o da altre agenzie.
Parlo ancora come se lavorassi per loro!
Il capo ha sparato un prezzo un po’ esagerato per un privato e non se n’è più fatto niente. Credo che in realtà non avesse tanta voglia di prendersi una responsabilità fuori dell’ordinario e su questo la pensiamo allo stesso modo.
La mia faccia deve esserle rimasta impressa, perché mi ha salutato ancora un paio di volte quando ci siamo incrociate al di fuori dell’ufficio, finché un giorno ci siamo fermate a fare due chiacchiere.
Tu non avevi ancora fatto le valige, ma c’era già maretta in casa. È stata lei a suggerirmi di tenermene fuori il più possibile. Avevo adottato fedelmente il consiglio e tornavo apposta a casa tardi per non sentire discussioni ed evitare di farmi sfuggire giudizi non richiesti.
Da un po’ mi chiedo se sia stato saggio darle retta. A volte penso addirittura che possa essere stata una cosa studiata! Se non mi avesse contattata Mister X, sarei andata a cercarti nel frigo di G!

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lunedì 19 settembre 2011

La volpe

Volpino non lo conosci, o almeno lui dice di non conoscere te, ma avreste molto da condividere voi due. Con un cellulare all’ultima moda riceve in continuazione messaggi dai contatti, alcuni sparsi in giro per il mondo, delle varie chat che tiene aperte.
Della compagnia, è l’ultimo arrivato. Una sera ero con il mio gruppo al “Sodiac”, sai a cosa mi riferisco; eravamo seduti ai tavolini blu, quando è venuto a salutarci, nelle mani la bottiglietta di birra con la fetta di limone nel collo e sulle labbra l’immancabile sorriso ebete. Prima del ritorno di K% è stato lui la principale valvola di sfogo per i miei deliri contro il mondo.
Ho sempre sentito uscire più “bip” delle notifiche messaggi dal suo cellulare che frasi di senso compiuto dalla sua bocca. All’inizio ho fatto finta di interessarmi alle battute che leggeva sul display solo per assicurarmi che non avesse giri strani, chessò sessuali o illegali. Quando mi ha fatto vedere una che sfilava con un abito composto da cubi che ricordavano i pixel, ho capito che era un tipo innocuo, fissato con i computer. Proprio come te!

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venerdì 16 settembre 2011

Non commestibile

Abbiamo parcheggiato il camper in un’area attrezzata, un vasto prato dotato di diverse strutture, dal supermercato a piccole piscine, dall’area giochi per i bambini al bar con DJ. A partire da una certa ora del pomeriggio della musica da discoteca incominciava a rullare e attirava a sé la parte più giovane dei vacanzieri.
La mattina lasciavamo in pace la coppietta, che andava a farsi gli affari propri in isolamento, mentre io, G e Volpino prendevamo il sole in riva al lago. Di pomeriggio, si faceva un giro in paese tutti insieme.
L’ultimo giorno, poco prima di pranzo, il sole mi aveva fatto venire sete. Sono rientrata nel camper per cercare qualcosa di fresco nel frigo e cosa ho visto? Due teste! Mi è sembrato di distinguere il caschetto della polizia municipale ancora allacciato, e quattro occhi severi che mi fissavano. Sono tornata al mio asciugamano in poche falcate e mi sono rassegnata a bere brodaglia dalla bottiglia che avevamo portato a riva, senza riuscire a placare la sete.
Verso l’ora di pranzo ho sentito qualcuno che mi scrollava per svegliarmi: G era tornata dal camper e ne era uscita con in braccio due mini-cocomeri, presi dal frigo. Volpino li ha prontamente sezionati e disposti su un vassoio, ma io non sono riuscita a toccarne nemmeno una fetta, ancora turbata dai miei incubi.

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sabato 10 settembre 2011

Al la(r)go

Sono reduce da un fine settimana passato in camper al lago. Non chiedete come hanno fatto a convincermi. Forse mi ha spinto il fatto che la maggior parte dei miei amici più cari fosse in quella scatola per sardine su ruote, o l’idea poco rassicurante di rimanere a casa preda del mio cervello.
Guidava G, e questa è stata una sorpresa: K% mi aveva detto, ammiccando maliziosamente, che non sarebbe venuto perché aveva una “mezza uscita” con questa G. Delle due l'una: è un generatore umano di frottole sfortunate oppure gli sono saltati l'appuntamento e annessi ammiccamenti.
Abbiamo superato indenni un posto di controllo della municipale; per fortuna ero seduta accanto alla conducente: per niente al mondo avrei voluto assistere a quel paio di teste dotate di elmetto che frugavano tra i miei effetti personali, come li definirebbero loro, sul retro.
Il resto del gruppo era composto da una coppia di amici, che fortunatamente hanno evitato di farci pesare per tutto il viaggio di andata “quanto” fossero affiatati come coppia, e da un buon compagno di avventure, che chiamo Volpino.
Rossiccio di capelli, col sorriso perennemente stampato in faccia, è facile immaginare il motivo del soprannome. Immagino che si metterebbe a ridere anche se gli incidessi una gamba sotto il ginocchio con un coltello a lama fissa!

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lunedì 5 settembre 2011

Cristallo freddo

Adesso arriva il bello! Sempre borbottando due parole affogate nella pasta, ha detto qualcosa tipo “Hai novità su Crystal?”. Io devo aver strabuzzato gli occhi. Non credo che intendesse una persona; me l’avresti già presentata. L’ho scrutato a lungo, per capire a chi o a cosa diavolo si stesse riferendo, poi mi sono accorta che manifestavo troppa curiosità. Avrei dovuto fingermi a conoscenza di qualcosa, in modo che il resto me lo raccontasse lui.
Niente da fare, non sono pronta per fare l'agente segreto! Ha capito che non condividiamo molti progetti o hobby. Ho chiesto di ripetermi la domanda, ma lui ha cambiato totalmente argomento, facendo finta di non capire, sparando una banalità dietro l’altra a proposito dell’utilità degli stagisti in azienda. Ora, sai che io non sono una ficcanaso e non mi sono mai impicciata dei fatti tuoi, ma questo tipo mi ha trattato da stupida, e in qualche modo mi è sembrato che ci fossi tu dietro di lui, a trattarmi in quel modo.
So che non c’entri, ma per me è sempre più difficile sopportare tutto questo! Mi manchi, lo capisci?

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domenica 4 settembre 2011

Doccia fredda

Con Mister C, a parte qualche battuta, non sono mai andata sul personale. Eppure, a differenza di quanto pensassi, deve avermi tenuto d’occhio a lungo, o si sarà interessato a me dalla sera che mi ha vista nel locale. Mi aspettavo qualcosa su mio padre, come al solito, invece, dopo due parole di circostanza ha finito per chiedermi, facendola passare come una domanda disinteressata, se io fossi sorella di una certa Y!
In quell'istante ho perso il controllo dei muscoli facciali e una pennetta dal vago sapore di tonno è scivolata lungo l'esofago senza passare per la fase della masticazione. Percepita in qualche modo la tua presenza nella stanza, mi sono ripresa giusto in tempo per controllare che la pennetta non facesse il percorso inverso. Avevo avuto la sensazione che lo stomaco si fosse contratto di colpo. Avrei potuto far uscire il proiettile, trapassando Mister C da parte a parte.
Lui mi ha sorriso con un velo di imbarazzo, chissà che faccia devo aver fatto, e mi ha chiesto di salutarti. Era chiaro che fosse un po’ teso perché mi conosceva poco, ma il fatto di portarti i suoi saluti sembrava divertirlo parecchio. Non dava l’idea di nascondermi qualcosa, né che fosse al corrente di quello che stavi combinando. Mi è sembrato un bravo ragazzo, e come sai il mio giudizio raramente sbaglia.
Ma non è finita qui!

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sabato 3 settembre 2011

Pasta fredda


Intanto è arrivato l’ultimo giorno dello stage in azienda.
Una ventina di persone, tra collaboratori esterni, colleghi e quelli della casa madre che seguivano gli stagisti, si è riunita nel nostro ufficio all’ora di pranzo per mangiare insieme. Ho divorato in fretta la misera razione di pasta fredda, stando in piedi con in mano piattino e forchetta di plastica. Ho perso di vista quasi subito il mio bicchiere di spumantino ma mi sono vergognata a chiedere il bis!
Si è avvicinato Mister C con l'intenzione maldestramente mascherata di trovare un interlocutore. Nonostante lavorasse lì da più tempo di me, deve aver avuto pochi con cui scambiare due chiacchiere.
Ricordo bene che mentre mi parlava, gesticolava così tanto che da sotto il polsino della giacca del completo spuntava l’orologio, e non ho potuto non notare il cinturino con il logo di un noto “picchiaduro” in bella vista. Faceva passare tutto come casuale, ma è chiaro che mi stava ammiccando in codice: “Vedi? Facciamo parte di un club!”. Ora, non vorrei deluderlo, ma io non vado d'accordo con i videogiochi: ci vuole troppa pazienza.
Divagazioni ludiche a parte, mi premeva affidare altro a queste pagine. Definiamolo interessante; di sicuro quello che aveva da dirmi ha fatto colpo.

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mercoledì 31 agosto 2011

Arcobaleno lunare


La sera che ho deciso di sparire ho preso un paio di biscotti di marzapane dalla cucina, ho raggiunto  la casetta delle cantine e sono entrata in quella dei miei. La stanza era vuota e buia. La casa era solo un appoggio estivo, e la cantina era così abbandonata che non era mai stata messa l’illuminazione. Avevo tenuto la porta leggermente accostata, per far entrare un po’ di luce e di rumori da fuori.
Ricordo che mi piaceva stare da sola, nascosta, con alle spalle un buio talmente nero da poter nascondere qualsiasi orrore. Stavo immobile a farmi prendere dalla paura, attratta da quella sensazione, curiosa di dove potesse portarmi. Quando la faccenda si faceva seria, aprivo di più la porta, guardavo fuori e riprendevo contatto con il mondo reale.
Ed è stato da quest’ultimo che è arrivata alla fine la sorpresa più grande: l’unico urlo che ho cacciato è stato quando, da fuori, la porta si è spalancata all’improvviso e mia mamma mi ha fisicamente trascinato fuori. Non sono stata punita, perché non credo che la caccia sia durata tanto: avevo lasciato il mio pupazzo preferito proprio davanti all’uscio. Era bello, un unicorno bianco con la criniera e la coda dai colori dell’arcobaleno. Cercavo solo attenzione e ci tenevo ad essere trovata.
Y, è come se avessi trovato il tuo unicorno, ho solo paura di aprire la porta troppo in fretta.
Non posso dirvi se si tratti di una fantasia di allora o se sia maturata fino adesso, fatto sta che anche la porta della cantina del Signor Sottuttoio non era chiusa a chiave. Avevo dato una sbirciata prima di entrare nella mia: dentro c’era solo un piccolo letto. Le coperte erano rigonfie, e quelli giù in fondo nella penombra potevano essere capelli oppure stracci. Non ricordo odore di cadavere, ma non dimentico lo sguardo indagatore del Signor Sottuttoio puntato costantemente addosso nelle settimane successive. Mi voleva lontana da quella casetta.

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martedì 30 agosto 2011

Duemila anni

Non sarà certo scritto nel nostro DNA, ma pare si tratti comunque di un vizio di famiglia.
Quando ero piccola trascorrevo con la famiglia i mesi estivi in una grande casa al mare. Spesso mi annoiavo, in particolare odiavo l’arrivo di amici e parenti: venivano la sera, stazionavano nel “mio” giardino fino a tarda notte in un crescente consumo di mandibole e corde vocali.
Le stanze si svuotavano, mi incutevano un po’ di paura. Non mi andava, con tutti fuori, di essere l’unica dentro a dormire, nemmeno quando mi veniva un sonno da addormentarmi in piedi.
Il mio malessere non proveniva solo dagli scricchiolii dei grandi armadi di legno e dai giochi di ombre proiettati dai gatti in perenne movimento. A due passi c’era la villa del Signor Sottuttoio, un umanoide di duemila anni interamente ricoperto di rughe. Probabilmente è ancora vivo.
Non lo si vedeva in giro quasi mai, stava tutto il tempo in casa. La spesa, ad esempio, gliela venivano a portare.
Le sere dei bagordi, invece, il Signor Sottuttoio si sedeva su una panca di legno nel suo giardino, appoggiava le mani al bastone ben piantato davanti a sé e si guardava intorno. La leggenda coltivata per anni nella mia fantasia narra che io non l’abbia mai visto uscire di casa: nel mio peregrinare svogliato lungo il perimetro della proprietà dei miei, guardavo verso il suo prato e lui ad un certo punto era lì. Ad ogni minimo rumore si voltava di scatto, a dispetto di un collo che apparentemente avrebbe potuto strapparsi come un antico papiro.
Era vedovo, magari stava fuori per godersi la compagnia, ma all’epoca credevo, e in parte ne resto convinta, che ci stesse maledicendo uno ad uno per l’odore di grigliata, la musica e l’allegria che arrivavano fin da lui.
C’è stata però una sera in cui quella specie di nano da giardino si è alzato ed è venuto verso la combriccola di parenti e amici (altrui). Si è agitato, è corso avanti e indietro. Insomma si è dato da fare.
Per me.

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domenica 28 agosto 2011

Piccoli passi


In questi giorni ho saputo che stai bene. Di più, ho visto una cosa per cui ne sono CERTA. Ho tirato un sospiro di sollievo; d’altra parte non avevo moltissimi dubbi sul fatto che tu te la sappia cavare in ogni situazione. Non dirò quando è successo, e nemmeno il nome dell’informatore (sì, un maschietto), altrimenti chi lo sente più! Chiamiamolo Mister X. Senza dubbio, sei coperta bene, perché ancora non so dove sei, ma non sarà un problema: anche se scrivo poco sono determinata ad andare avanti.
A proposito, sappi che il mio intento non è quello di stressarti o metterti in imbarazzo. Rispetto ai primi giorni sono molto meno preoccupata; riesco quasi a vedere tutto questo come una specie di gioco. Credimi, comunque: non mi fa piacere quello che stai facendo e sappi che, gioco o meno, queste letterine virtuali sono soprattutto un enorme “ti voglio bene” propagato nell’etere fino (spero) a te.
Forse, se mi decido a metterci un po’ più di impegno, finisco per trasformare questo diario in qualcosa che mi (ci) faccia davvero bene, però sarei costretta a dare ragione alla Dottoressa! Passi pagare le sue parcelle, ma concedendole pure la soddisfazione di averci azzeccato mi sembra di dargliela vinta su tutti i fronti!
Come vedi, anch’io ho i miei problemi! Dai, scherzo! Mi manchi davvero, Y.

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venerdì 26 agosto 2011

Il cibo


- Non ho problemi col dolce o con il salato. So che c’è chi esclude l’uno o l’altro, ma provo lo stesso piacere nel tuffarmi in una torta ipercalorica o nell’addentare fette di salame e formaggio su pane fatto in casa. Facciamo che devo decidere? Va bene, escluderò il dolce, farò contenta la mia dentista.
- Tendo ad essere onnivora. Il fatto di essere animalista non mi impedisce di mangiare una gigantesca bistecca al sangue. Il blocco mentale scatta quando l’animale, o una sua parte, è facilmente individuabile. Non riesco perciò a piantare una forchetta in un polipo, a scarnificare la testa di un coniglio, oppure a frugare nel guscio di una lumaca!
- La bilancia non mi ha mai dato problemi. Non sto lì a contare i chili presi e persi. Ho ancora un’età in cui il metabolismo riesce a macinare calorie a sufficienza. Mi aiuta il fatto che mangio non più del necessario, ma sono sfavorita dalla vita ultra-sedentaria che pratico.

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mercoledì 24 agosto 2011

Qualche fobia


- Non faccio fatica ad addormentarmi, ma se mi sveglio la notte è un problema. Ogni venti, trenta secondi devo aprire gli occhi, anche se sto cercando di prendere sonno. Devo guardare fuori dalla finestra, imparanoiata, a controllare che sia tutto a posto. Assurdo, ma in quei momenti quello che mi aspetto è di vedere una lastra di acciaio, la sagoma di un disco volante ferma a due metri fuori casa.
- So che esiste un nome preciso per questo problema, ma non mi va di andarmelo a cercare. In pratica, da quando da piccola ho letto It, non tollero la vista dei clown. Ne ho paura sul serio solo se hanno i denti appuntiti, sporchi di sangue umano. In realtà, più che provocarmi una vera e propria fobia, mi danno fastidio, mi mettono a disagio. E non mi fanno mai ridere.
- Non mi dà fastidio vedere un insetto, se vengo rincorsa non do di matto. Ma che fare quando non si ha il completo controllo di orecchie, naso e bocca, mentre si dorme? Qualche moscone potrebbe depositare le proprie uova, potrebbe infilarsi in un orecchio e non riuscire più ad uscire. Temo sempre di svegliarmi e vedere sul soffitto un animaletto con più di due zampe, e dover così pensare a cosa possa aver fatto per tutta la notte al mio corpicino indifeso.

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lunedì 22 agosto 2011

Non sopporto


- Da tempo mi muovo quasi esclusivamente a piedi o in bicicletta. Uso la macchina solo lo stretto necessario. Ho vissuto però abbastanza per fare la conoscenza di treni dove capelli sconosciuti ti accolgono appiccicati all’appoggiatesta. E l’autobus che a inizio giornata sa tutto di alito del primo mattino? E i pali a cui reggersi nei vagoni della metro, che quando sono unticci ti chiedi chi li ha usati prima? Mi fermo qui.
- Le coppie di amiche dove una è così curata e precisa da essere pronta per un casting, mentre l’altra è inguardabile e cerca di stare nei vestiti e nei trucchi della prima. E’ un rapporto di simbiosi. Quella brutta si gode gli scarti dell’amica, mentre quella bella dalle amicizie femminili azzerate sfrutta una compagna fedele. Le vedo spesso, entrambe con il cellulare in mano, a ridacchiare una per tutte, tutte per una. Vorrei separarle chirurgicamente, come fossero gemelle siamesi.
- Il fatto che esista gente disposta a pagare per vedere gli animali chiusi nelle gabbie degli zoo o al lavoro nei circhi. Va bene, sono nutriti, sono contenti di stare in habitat sintetici e di saltare nei cerchi di fuoco. Non vengono predati e nemmeno cacciati. Già, ci metterebbero la firma, se potessero. E i genitori che vi portano i bambini, insegnando loro fin da piccoli la superiorità della nostra razza, che piega la fierezza degli animali a suo piacimento: in cantina ho posto abbastanza, preparo qualche gabbia anche per loro.

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sabato 20 agosto 2011

Piccole manie


- Un paio di pantaloni da ginnastica che hanno un piccolo spacco all’altezza della caviglia. Mi piace che si formi una zampa di elefante e che tutta la scarpa da ginnastica sia nascosta dal pantalone. Quando cammino, sento il tessuto davanti saltellare sulla punta del piede. Ci tengo che la scarpa sia tutta coperta, e che sul dietro il pantalone non tocchi terra.
- Ho un seno che trovo proporzionato, anche se quando ero adolescente mi sembrava sempre troppo piccolo. Devo controllare ogni giorno che sia sempre alla stessa altezza, e in generale che non si deformi come un budino! Per una magrolina e non troppo alta, direi che la via di mezzo vada bene, ma a me le tette piacciono enormi o quasi inesistenti! Che ci posso fare! In fondo in fondo non riuscirò mai a scrollarmi del tutto di dosso un pizzico di invidia.
- Vado al fast-food non più di una volta al mese. Quando mi tolgo lo sfizio compro patatine fritte come se avessero annunciato una carestia. Le mie stesse dita diventano tubicini commestibili unti di olio e costellati da granelli di sale. Le infilo, insieme alle patatine, in quei minuscoli baccelli di plastica che ospitano ketchup o maionese, purtroppo sempre in quantità davvero misere.

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giovedì 18 agosto 2011

Mi piace


- Leggere a tavola. La rivista, o meglio il giornale (più grande è più c’è da giocarci), devono stare ben distesi davanti a me. Sopra le pagine metto il piatto, il bicchiere e tutto il resto. Mangio e sposto il piatto per leggere quello che mi interessa. Se sporco mi diverto di più. Finita la pagina, sbaracco tutto solo per sfogliare, e poi piatti e il resto tornano al loro posto.
- Lo stile di vita degli anziani. Leggere il giornale, informarmi del tempo, avere mezzo appartamento in borsa, camminare piano, godere di un armadietto di medicinali fornito quanto una farmacia. Non solo, provo soddisfazione a borbottare sulle mode, contro piercing tinte tatuaggi e in generale su tutta quella felicità generazionale tanto ostentata, che, sono sicura, in pochi anni evaporerà come neve al sole.
- Drogarmi di televisione. Funziona così: ci sto davanti tanto da estraniarmi completamente. Mi accorgo che non sto più seguendo i programmi, mentre mi sto immergendo direttamente nella sorgente dati. Un’esperienza allucinogena mica da ridere, di cui poi ho da gestire i postumi, compreso il malumore per aver buttato via il mio tempo!

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martedì 16 agosto 2011

Ti diverti?

Sapete che uso l’anonimato, sebbene in rete i fantasmi non esistano, come scudo per sentirmi più libera di esprimermi. Genera curiosità, attrazione, sospetti. Questo fa parte del gioco. Non mi aspettavo però che ci sarebbero stati lettori frustrati dalla cosa.
Uno con tanto tempo da perdere mi ha scritto paroline poco gentili, che nulla c’entrano coi contenuti pubblicati. Fa male il fatto che siano senza senso, e preoccupa che consideri offensive cose che per una persona “normale” non lo sono affatto.
Ale nei commenti tempo fa chiedeva perché fosse un problema dire chi io sia. Non mi nascondo perché sono chissà chi nella vita “reale”, ma proprio perché sono una persona qualsiasi, quindi più esposta, più fragile, nei confronti di chi non sappia gestirsi di fronte alla tastiera e, probabilmente, anche nella vita reale.
Vuoi avere il controllo? Va bene, ma non sarai l’unico.
Nei prossimi post vi dirò di più su di me. Nessuna sorpresa, solo frustranti banalità.

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lunedì 15 agosto 2011

Presa rapida

Mi sono scollata: in testa il rumore di un foglio strappato, e sulla schiena il dolore di mille aghi.
Ho deciso di lasciare in vista i francobolli di carne appiccicati alla fodera del divano, giusto per tenere a mente che le malsane abitudini hanno un costo.
Sono tornata di fronte al video per sparare una cartuccia, forse il fragore dello sparo allontanerà un certo disagio, che al momento non se ne va, come il corvo sul braccio di uno spaventapasseri.
A domani!

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venerdì 5 agosto 2011

Troppi gradi

Eve chiede nei commenti che fine io abbia fatto. Dopo una breve tregua è tornato il caldo, e le mie ascelle sono diventate degli irrigatori agricoli. In questo stato preferisco starmene sdraiata sul divano a boccheggiare, piuttosto che accendere il computer e seguire il blog. Troppa fatica!
Ho anche riletto a freddo quello che ho scritto recentemente... Un po’ me ne vergogno. Correre come una disperata dietro ad un’illusione, morire di frustrazione e rabbia per come mi sta andando il cervello in pappa... Pensavo a Y anche mentre K% mi costringeva a fare due passi di danza disarticolati in pista, con le scarpe che buttavano fuori acqua ogni volta che vi poggiavo il peso. Con lei andavo spesso in discoteca. Quanto mi divertivo!
Ecco, se non fosse chiaro, la serata non è stata molto divertente, un po’ tutto lo sta diventando sempre meno, compreso il blog. Mi prendo una decina di giorni di pausa, poi mi alzerò dal divano e accenderò il computer.
Forse vi troverò ancora qui! Ciao!

domenica 31 luglio 2011

Mister C

K% reggeva due bicchieri in cui brillava un liquido di un azzurro così luminoso, da insinuare il dubbio sull’opportunità di farlo finire per davvero nello stomaco. Al suo fianco, Mister C, il corriere che con cadenza quasi quotidiana porta materiale nella galleria. Come conosce K%?
Avevo disdetto l’uscita con le due colleghe “streghette”, per incontrare durante la serata uno che sicuramente il lunedì avrebbe tirato fuori la battuta impropria sulla reginetta della notte! Che odio! La scorbutica, depressa e schizzata maniaca della vernice vincerà pure il premio di asociale dell’anno!
Ho elencato mentalmente le varie opzioni a mia disposizione. Avrei potuto attirare con una scusa Mister C nei bagni e poi improvvisare: incollaggio delle labbra, taglio della lingua, tonsillectomia, minaccia del silenzio tenendogli un po’ la testa nell’acqua del water.
E Mister C mi è simpatico, figuratevi cosa potrei organizzare se non lo fosse! Viene in ufficio e ha quasi sempre a che fare con me, che prendo in carico i pacchi e la corrispondenza, o decido dove immagazzinare la merce; praticamente lo considero un collega.
Si sono avvicinati e io ho fatto spazio sul divanetto a K%: volevo fargli assaporare un po’ di schienale bagnato, per aver osato escogitare un modo per raggiungermi perfettamente asciutto. Mister C mi ha fatto un cenno, il volume della musica a quella distanza mi avrebbe in ogni caso impedito di sentire la sua voce calda e suadente da latino (dovrebbe essere di origini messicane).
E’ indietreggiato due passi ed è sparito per magia nella folla, lasciandomi di nuovo libera dall’abbraccio soffocante del mio posto di lavoro.

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sabato 30 luglio 2011

Cannucce fluorescenti

Con chi era K%? La sto tirando per le lunghe, è vero; facciamo che vi dico subito con chi non era. Non era con la sua ex, né con mia mamma o con il mio capo, e tanto meno con Y.
A proposito della finta-Y, l’ho vista vagare nell’area dei divanetti. Lavorava nel locale, mi è sembrato che desse in giro volantini. Quando si è presentata al famoso divanetto ad L, mi ha praticamente ignorata (si capiva così ad occhio nudo che ero capitata lì per caso?) e si è messa a confabulare con “quelli del lato lungo”. Erano due coppie, con le parti maschili prese a ridersela di gusto per tutto il tempo e le compagne a sorseggiare noia da cannucce fluorescenti. Per un po’ ho rappresentato una fonte di interesse per loro. Non credo avessero capito quanto fossi zuppa, perciò chissà cosa si saranno immaginate a giustificazione dei miei scatti e del mio continuo scostare i vestiti dalla pelle.
La finta-Y era piegata in avanti a parlare con i quattro e così l’ho potuta vedere da vicino. Si era cambiata. Dalla mia postazione ero quasi in comunicazione diretta con la parte finale del suo intestino, perciò mi sono limitata a consumarmi nell’imbarazzo. Quando si è voltata, mi sono accorta di aver fallito su tutta la linea. I tratti del viso erano completamente diversi da quelli di Y.  Solo il taglio di capelli poteva forse ricordarla lontanamente.
Per rimarcare quanto anch’io non volessi avere a che fare con quella sosia da due soldi, mi sono messa a giocare con il mio caschetto, nascondendo un po’ il viso e voltandomi verso il bancone. E lì, lui, sempre lui. Torniamo ancora a K%.
E a chi lo accompagnava.

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giovedì 28 luglio 2011

Acchiappa fantasmi

Devo ammettere che siamo stati fortunati a ritrovarci. E’ vero che esistono gli SMS, ma non è stato male farcela senza ricorrere ai telefonini. Eravamo due persone sedute in un locale che conteneva grosso modo mezza città, eppure i nostri sguardi si sono incrociati. Un segno del destino? Non scherziamo!
K% non accende alcuna sirena di allarme nel mio sistema di autocontrollo. D’accordo, d’accordo, l’ho baciato, ma avevo in testa un milione di altre cose. Anzi, facciamo tranquillamente un miliardo, così mi sento meno in colpa.
Prima di darmi della mangiauomini, Vostro Onore, Vi prego di considerare che sicuramente K% aveva la sua ex in mente mentre giocherellava con la mia lingua, e che alla fine sono stata sfruttata per una breve parentesi tra due sessioni con Lara!
Cos’ha K% che non va? Anzi, se stai leggendo: cos’hai che non va? Prima di tutto, per me è un amico. Mi è capitato già una volta di calpestare questa regola sacra e non lo farò mai più. E poi, manca uno spunto, un dettaglio che lo renda interessante, meno anonimo. Io sono un blocco di ghiaccio, per farmi ingranare la marcia devo trovare qualcuno più strano di me. Missione impossibile!
Forse non sarò stata carina, a sputare tanti giudizi in pubblico, ma K% è solo un fantasmino che svolazza attraverso la Rete, non lo riconoscerete certo per strada.
E poi, in fondo in fondo, me la deve pagare, visto con chi si è presentato.

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martedì 26 luglio 2011

Desideravo evaporare

Una volta dentro, ho sentito l’impellente bisogno di un posto dove sedermi. Ho individuato un divanetto a L. La parte corta della struttura era libera e abbastanza larga per ospitare sia la borsa che la felpa. Avevo sperato in una sistemazione più “indipendente” ma, superato il blocco mentale della vicinanza forzata con sconosciuti, mi ci sono avventata.
Desideravo evaporare insieme ai miei vestiti.  L’aria densa del locale non aiutava. Dalle casse la musica penetrava direttamente nello stomaco e nel cervello: quella notte avrei condiviso il letto con un molesto fischio monocorde appollaiato sul cuscino vicino al mio orecchio. Intorno a me pascolavano personaggi con l’occhio da cacciatore e la paura della preda. Al solito mi sentivo fuori posto, e per giunta senza principe azzurro.
Il fatto che fisicamente non sia messa male mi metteva addosso la sensazione di essere un agnello sacrificale alla mercé di un prevedibile destino. Avrei dovuto pensare al trucco completamente sfatto, invece mi ero isolata in un mondo parallelo, a rimuginare su minacciosi coltelli rituali!
Al secondo cuba libre ero ancora piuttosto fradicia. La mia schiena aderiva attraverso vari strati di stoffa allo schienale in pelle. Gli slip sembravano l’unico indumento a essersi salvato. Il vero fastidio erano le gambe dei pantaloni che, nella zona dei polpacci erano diventate un tutt’uno con la carne. I calzini non ce l’avrebbero fatta a superare la nottata.
Il bancone veniva ciclicamente sommerso dalla marea umana in cerca di benzina per il fisico e lo spirito. In un momento di riflusso ho scorto K%. Il problema era la persona con cui stava parlando.

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domenica 24 luglio 2011

Risciacquo delicato

Man mano che mi avvicinavo, il mio passo si faceva incerto, finché mi sono bloccata in mezzo alla strada, gli occhi inondati di pioggia e pianto. Non eri tu. Sarebbe stato troppo facile. Quella aveva la tua corporatura, i tuoi vestiti e la tua bicicletta, ma non eri tu.
Stavo ancora pensando alla bici. Gialla, da donna, il fanalino posteriore a penzolare come la lingua di un cane. Ecco, riflettendoci lucidamente, quella gialla è la mia, e sono sicura che non abbia preso il volo insieme a te. Mentre registravo questo dettaglio, un automobilista ha suonato con foga il clacson, sterzando all’ultimo momento per evitarmi. Solo allora una specie di rubinetto aperto in faccia mi ha ricordato che ero sotto una tempesta tropicale.
Il vento mi aveva sollevato canottiera, camicia e felpa degli Orlando Pirates. L’acqua dalla pancia grondava sotto la vita e risaliva verso il collo lungo la schiena. Avevo l’impressione che la mia testa fosse infilata in una centrifuga e che i capelli si stessero staccando uno ad uno.
K% mi osservava con gli occhi sbarrati da dietro il finestrino. Si era spostato sul mio sedile e ora non muoveva un muscolo, come ipnotizzato. Probabilmente sarebbe stato lì dentro per sempre: qualsiasi ombrello si sarebbe disintegrato nella bufera.
Dovevamo metterci un impermeabile come quello della tua sosia, che aveva dimostrato di avere più sale in zucca di noi! Magari avrebbe fatto meglio a evitare il tragitto in bicicletta.
Ho recuperato al colpo la dignità, sfilando fino a raggiungere il buttafuori con l’incedere solenne di una sposa che va all’altare. Deve avere aiutato, perché il gorilla si è scostato senza la minima esitazione e mi ha fatto entrare.

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venerdì 22 luglio 2011

Bicicletta gialla

Ero intenta a dirigere dalla terrazza gli effetti speciali del diluvio, quando al fragore della pioggia si è mescolata la vivace quanto infantile melodia della sigla dell’Uomo Tigre. Sono rientrata; nella stanza trillava con insistenza la suddetta suoneria, sovrastando completamente il rumore dell’acqua: la Tecnologia alla fine ha avuto la meglio sulla Natura.
Era K%. Dovevo scegliere se fare un giro con lui oppure passare la serata con le due streghette dell’ufficio. Si erano prenotate per prime, ma sospettavo si trattasse di uno scherzo.
Sarei rimasta volentieri all’asciutto, a vegetare davanti alla televisione, ma mi sono fatta trascinare dall’ometto verso un ineluttabile tripudio alcolico, fondamentale per lavare i sensi di colpa e le paranoie di entrambi. Ancora una volta, metto le mani avanti: non aspettatevi come resoconto una trama da film porno! Siamo due giovani casti in via di estinzione!
K% è dovuto scendere con la macchina fino nel garage, visto che non avevo intenzione di rischiare l’osso del collo correndo tra la porta di casa e il sedile della sua auto attraverso le cascate del Niagara.
Guidava lui, ma non sembrava orientarsi molto bene, penso a causa del muro d’acqua. Mi ero calata con una certa rassegnazione nel ruolo di navigatore umano, fornendo con voce piatta le necessarie indicazioni. Ad un tratto ti ho vista. Sono ammutolita, gli occhi sgranati a fissare un punto alla nostra destra. Eri in bicicletta, trattenevi con una mano il cappuccio dell’impermeabile, e pedalavi con la schiena curva sul manubrio. Mi sono aggrappata al braccio di K% e ho farfugliato qualcosa che deve essere suonato vulcaniano. Anche lui deve averti riconosciuta, perché senza dire una parola ci siamo lanciati all’inseguimento. Non andavi veloce, ma ogni tanto svanivi inghiottita dal traffico; ti abbiamo persa diverse volte.
Ti sei fermata davanti ad un locale. Perfetto! In fondo eravamo usciti proprio per andare in un posto come quello! Sono smontata dalla macchina. In quel momento della pioggia non mi è importato niente.

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giovedì 21 luglio 2011

Quanta acqua

L’altra sera, mentre guardavo la TV, è scoppiato un tremendo temporale. Un boato ha fatto tremare i vetri, seguito da uno scroscio assordante. Dopo un iniziale spavento, sono uscita in balcone, attratta da un intenso spettacolo di tuoni e fulmini. L’aria era così umida da essere soffocante, eppure c’era vento. I tuoni erano tanto vicini da scuotere le fondamenta, sembrava che da un momento all’altro dovesse saltare il tetto. E i lampi? In rapida successione, la terrazza e tutto il circondario venivano illuminati a giorno per alcuni interminabili secondi, prima di ripiombare nell’oscurità. Ho ripensato con una certa apprensione ad un articolo letto di recente sui fulmini globulari che ti rincorrono fin dentro casa.
Assistevo dal mio riparo a quell’apocalisse d’acqua che investiva il mio quartiere, la mia città, e, perché no, probabilmente l’intero pianeta. Qualche schizzo rimbalzava sul parapetto e, sospinto dal vento, mi colpiva sulle braccia o sul viso.
Che fastidio! Fosse per me, non uscirei sotto la pioggia neanche con l’ombrello. Detesto i vestiti bagnati che si appiccicano alla pelle e l’umidità che penetra fin nel midollo. Ho contemplato la furia della natura, sfidandola imperturbabile dal mio rifugio, nonostante venissi provocata da alcune moleste gocce! Quasi non vedevo oltre la ringhiera. Un muro d’acqua illuminato dai lampioni ondeggiava sinuoso davanti a me in balìa delle folate di vento.
Indovinavo soltanto l’insegna del sushi bar in basso, di fronte al mio palazzo. Un pesce rosso obeso, dallo sguardo non troppo sveglio, illuminato di rosso con neon dalle proprietà antinebbia! Quanto odio quello stupido posto.
Mi sono domandata se anche tu stessi guardando lo stesso spettacolo in quel momento, se avessi voglia di sushi, se io ti stessi mancando, se avessi sentito un’edizione straordinaria su un’alluvione planetaria in corso. Non ti ho mai chiesto se, come me, non sopporti camminare sotto la pioggia...
In questi giorni sono un po’ giù, e il maltempo non migliora l’umore. Nel prossimo post, NON aspettatevi la storia di un esercito di gamberetti che si scoccia del tombino perennemente intasato quando piove ed esce alla conquista della Terra!

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lunedì 18 luglio 2011

Vi osservo

Il capo mi ha convocata nel suo studio. Qualche domanda banale sull’arrivo delle ricevute delle raccomandate inviate ad un gruppo di fornitori. Non sono stupida, sapevo che voleva studiare le mie reazioni. Dal giorno successivo al fattaccio, l’ho visto aggirarsi per l’ufficio più attento alle nostre espressioni che alle carte appoggiate sulle scrivanie.
Seduta di fronte a lui, ho dato una veloce occhiata intorno a me, e, con studiata casualità, all’armadio dei raccoglitori, mentre stavo ad ascoltare quello che aveva da dire sui prossimi fornitori da contattare. Sono tornata a guardare dove sapevo, ho aspettato pochi secondi e sono scattata in piedi verso l’armadio, quando ancora parlava. Mi merito l’Oscar.
Ho indicato una grossa macchia gialla che si era seccata sulla base di un’anta di vetro e ho chiesto spiegazioni.
Il capo ha accennato ad un incidente, poi ha farfugliato qualcosa su un “gesto artistico” e mi ha chiesto di tornare seduta.
Deve essere stato traumatizzato, perché il solo ricordo lo ha innervosito così tanto da impedirgli di riprendere il filo del discorso; infine mi ha lasciata tornare al mio posto.
Regna un’aria stranamente tranquilla in ufficio. In silenzio, tutti accusano tutti, e io rido sotto i baffi che non ho. Nessuno osa più alzare la voce. Hanno paura di trovarsi la vernice nel computer, sulla macchina, nel dispenser del sapone in bagno, oppure ben colata in gola!

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sabato 16 luglio 2011

Versione 4

Per la prima volta, sono uscita dall’ufficio sorridente! Ho fatto colare la vernice all'interno di sei-sette grossi raccoglitori ad anelli. Sono stata ad ammirare il colore piovere in dense gocce sul blocco di fogli, per poi venire risucchiato dalla gravità. Naturalmente ho evitato di sporcare in giro, altrimenti che gusto c'è! Quando il capo cercherà di staccare due pagine di un contratto incollate dalla mia ritorsione color mimosa, forse cambierà atteggiamento verso noi povere impiegatine! Avrà altro contro cui sfogare le sue energie!
Sono ancora inebriata dalla soddisfazione, immobile in mezzo al marciapiede. Quasi non sento un  pedone lamentarsi che ho bloccato il passaggio. Ho in mente questioni più importanti della deambulazione altrui: avrei dovuto usare un fazzoletto, dei guanti, avrei dovuto raccogliere i capelli, entrare scalza o al contrario con stivaloni di un'altra taglia? Abbiamo visto tutti la polizia scientifica all'opera, sappiamo come sono sempre puntigliosi sulla scena a cercare il dettaglio decisivo.
Ma ecco, succede qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Un urlo disumano riempie la via. Lo riconosco. E' il mio capo. Come è possibile che sia già in ufficio? Mi avrà vista? Un tramezzino, spiluccato per metà, cade dall'alto e si spiaccica ai miei piedi. Perde maionese in più punti, sarebbe forse il caso di chiamare i soccorsi.
Il tramezzino si riscuote, la fetta superiore ha un leggero fremito. Una piccola processione di gamberetti lascia la salsa (meno male che non c'era la rucola, avrebbe limitato i loro movimenti) e si riunisce intorno al cadavere. Fanno forza sulle zampe (da dove sono spuntate?) e sollevano la vittima con le loro esili chele.
Resto a guardarli attraversare indenni la strada. Non penso più alle facezie del mio lavoro.
Se mi concentro, sento un flebile coro ripetere: Non cercarla! Non cercarla! Non cercarla! Non...

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venerdì 15 luglio 2011

Versione 3

Giusto per aggiungere sapori diversi al piatto...
Sto per entrare nell'ufficio del mio capo per lasciargli un ricordo indelebile, qualcosa che gli faccia capire che non ha a che fare con inermi bambini dell'asilo, e che quindi le sue sfuriate possono avere conseguenze. Azione uguale reazione. Umiliarmi uguale subire la mia vendetta.
Sto ancora mentalmente ripassando il libro delle torture, un passo e sono dentro. A differenza delle mie fantasie malate, in realtà spero di trovare l'ufficio vuoto e limitarmi a qualche danno, senza per forza ingiuriare corpi altrui.
E invece? Sorpresa! Il capo è seduto alla sua scrivania. Sta addentando quel che rimane di un tramezzino (pomodoro, gamberetti, maionese) ed è girato verso di me, sorpreso di trovarmi lì. Seduta di fronte a lui, Y gli stava mostrando qualcosa al cellulare. Anche lei si è voltata verso l'intrusa. La sua espressione è impassibile.
Reagisce immediatamente, si alza, va verso il capo e gli sussurra qualcosa all'orecchio. Lui fa un cenno con la testa, senza staccarmi gli occhi di dosso, imbarazzato.
Cosa si stanno dicendo che io non posso sentire? Che ci fa Y qui dentro?
Ancora una volta la mossa è di mia sorella, che con un rapido scatto si lancia contro la finestra. Il vetro esplode verso l'esterno, e lei è risucchiata fuori. Corro a sporgermi, ma di sotto non c'è nessuno.
Sento sbraitare alle mie spalle, il capo mi chiede cosa ho fatto alla finestra. Mi giro a guardarlo, devo capire se sta scherzando. Per tutta risposta getta verso di me la metà rimanente del tramezzino. Il tempo si dilata, vedo un piccolo gambero lasciare al rallentatore il suo rifugio di maionese, poi mi scanso.
Il tramezzino vola fuori dalla finestra, e io torno a guardare di sotto: sparito.

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giovedì 14 luglio 2011

Versione 2

Il danno causato, la follia di aver scritto il post precedente su queste pagine: continuo a pensarci. Ho fantasticato così tanto che vi dedico una versione alternativa!
Timbro l’uscita dal servizio: gli altri sono via in pausa pranzo, per me invece significa che la giornata lavorativa è finita. Il capo mi ha ripresa per una sciocchezza e sono stufa. Prima che trovi un pretesto per mandarmi via, decido di lasciargli un ricordo indelebile.
Entro nel suo piccolo studio e, sorpresa! Lui è alla scrivania, fissa il monitor. In una mano regge un tramezzino consumato per metà e contemporaneamente cerca di digitare sulla tastiera. Si volta verso di me: sembra altrettanto sorpreso. Mi sorride.
Vedo che distende le gambe e sta per poggiare il tramezzino: capisco che vuole alzarsi per venirmi incontro. Scatto verso la scrivania e afferro la prima cosa utile, un tagliacarte argento lucido. Mentre passo sull’altro lato del tavolo il mio braccio destro compie una parabola verso di lui. Avevo puntato alla gola, invece lo centro in piena fronte.
Un suono appena percettibile, solo qualche goccia di sangue, il capo reagisce e si spinge avanti. Non raggiunge il mio busto; con il braccio libero scanso i suoi maldestri tentativi di toccarmi. Il tagliacarte è piantato nella stessa posizione, ma capisco che non entrerà mai nell’osso. Il capo riesce ad alzarsi appena dalla sedia, quando aggancia la mia spalla sinistra e mi tira verso di lui. Grida come un invasato. Mi sbilancio colpendo il bordo della scrivania e qui succede qualcosa di imprevisto.
Il tagliacarte scivola dalla fronte e accelera scendendo lungo l’attaccatura del naso. Prima che possa accorgermene penetra l’occhio destro. Penso ad un cucchiaio che affonda in un budino, mi viene quasi fame.
Il capo non urla, smette di reagire, chiude l’altro occhio. E’ stato semplice e veloce. Ha un fremito nelle gambe, che termina solo quando spingo ancora più a fondo.
Esco dallo studio, trovo i colleghi ad applaudirmi. Li ho liberati, e adesso saranno loro a liberare me. Chiudo gli occhi e allargo le braccia. Mi strattonano per la spalla, qualcuno mi morde un orecchio. Un seno è strizzato così tanto che quasi non lo sento più. Mi lascerò divorare, e spero in questo modo di nutrirli di proteine e rivoluzione.

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mercoledì 13 luglio 2011

Piatto freddo

Questo fine settimana viene una combriccola di artisti cittadini: espongono, fanno baldoria e da domenica l’esposizione sarà aperta al pubblico. Le pareti della galleria dovrebbero essere foderate da una stupida carta da parati con un disegno che ricorda il cartone da imballaggio stropicciato. Ho detto “dovrebbero” perché la sottoscritta non ha mandato avanti l’ordine e molto probabilmente non si farà mai in tempo.
G, una delle due streghette del marketing dice che avrei dovuto guardare la cartella con il render e accorgermi da sola che quella texture era una carta da parati specifica (e non un tocco artistico generato casualmente dal computer!), e che lei non ha tempo per spiegarmi ogni dettaglio visto che ne perde già abbastanza a preparare le simulazioni dell’allestimento per i clienti (e per me).
Per farla breve, non solo ho incassato una sfuriata dal capo, ma anche dal suo segretario, davanti a tutti. Non so bene che diritto abbia quest’ultimo di metterci il becco.
E io cosa ho risposto? Niente, intanto perché mi interessa poco o nulla di chi sia la colpa, e poi perché subisco tutto passivamente, sempre. Se qualcosa andasse davvero storto, i miei mi troverebbero un altro posto. Strampalato come questo, sicuro! Ho in testa troppe cose per stare dietro a questa banda, ho pure raddoppiato le ore settimanali dalla Dottoressa.
Per tagliare i rapporti con un minimo di soddisfazione, ho aspettato la pausa pranzo, ho timbrato e mi sono attardata in ufficio. Sono entrata nell’angusta stanza del capo e ho visto per terra una serie di barattoli per le prove colore. Ho preso quello tinta mimosa, ho aperto l’armadio dei raccoglitori (contratti, stampe dei render, pubblicità, schede delle manutenzioni) e ho versato la vernice sui fogli, facendo attenzione a non sporcare fuori.
Per la prima volta, sono uscita dall’ufficio sorridente! (segue l’eco di una risata malvagia)

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martedì 12 luglio 2011

Un passaggio

L’inizio settimana è già duro di suo, e a peggiorare la situazione ieri è arrivata da K% la proposta, ovviamente non desiderata, di accompagnarmi in macchina al lavoro.
Sto cercando di tenere le distanze, dopo quello che è successo. A mente lucida, sono convinta di non volermi assolutamente mettere con lui, che invece, in un modo o nell’altro, cerca di essere presente ogni giorno.
Sto violando molte delle mie regole: i fatti miei sono meno privati, comunico con gli altri attraverso un blog! Quasi spero che tu stia sbirciando le righe qui sopra, K%. È stato difficile scriverle, sarà difficile per te leggerle, ma così stanno le cose.
Voglio essere chiara. Camminando con calma sono in ufficio in mezz’ora e, a meno di diluvi estivi, dovrei farcela da sola!
Il passaggio avrebbe accorciato il tempo che impiego ad arrivare, tempo che passo in buona parte a ripetere mentalmente un elenco infinto di imprecazioni contro i colleghi. Non voglio perdere le “buone” abitudini, perciò ho rifiutato la cortesia.
Il mio posto di lavoro è un piccolo ufficio ricavato da un soppalco che domina una galleria d’arte. Gli spazi espositivi sono grandi; al piano interrato c’è addirittura un locale dotato di bar, pista e divanetti. Con me ci sono due ragazze che si occupano di marketing, il capo e il suo segretario, entrambi esperti d’arte. Io tengo in ordine le carte. Non si può dire che io segua la contabilità, visto che il commercialista e le paghe sono servizi esterni, diciamo che sposto fogli, inserisco dati nel computer, controllo ordini e fatture.
Fosse per me, starei tutto il giorno a poltrire, i miei potrebbero mantenermi senza problemi, ma un’alleanza tra la Dottoressa e mio padre ha decretato che uno stage part-time in un ufficio facesse al caso mio. Domani però scoprirete perché sia stata una pessima idea! (segue l’eco di una risata malvagia)

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lunedì 11 luglio 2011

Siamo foglie

Vorrei tornare su quanto accaduto sopra un letto non proprio di mia proprietà. Aiuta a capire come si sono ingarbugliati i rapporti con K%.
Si è trattato di un paio di baci; mi sono subito resa conto dei guai in cui mi stavo cacciando e mi sono bloccata. È stato buffo, avevo ancora le labbra incollate alle sue, quando una specie di scossa ha preceduto una paralisi di ogni mio muscolo! K% ha capito al volo, ha fatto armi e bagagli e si è allontanato.
Ci siamo alzati entrambi storditi: l’espressione di K% era quella di uno che non riesce a tenersi dentro un’esplosione di pensieri assortiti.
L’ho subito ignorato, e ho iniziato a guardarmi intorno. Che vergogna! Devo seriamente cercarmi un ragazzo, o la prossima volta salterò in braccio al mio capo!
C’era molta luce nella stanza, forse più di quanta ne avessi notata entrando. A parte l’imbarazzo, sarebbe dovuto essere divertente fare i deficienti nella stanza degli altri. Invece... quel posto era triste come un cimitero. Non parlo del disagio calato su di noi come una pesante coperta, e nemmeno del fatto che quel luogo fosse disabitato da diverso tempo.
È come è stata lasciata la camera da letto: i mobili non sono stati spolverati, c’è una tua canottiera, quella con Titty sotto l’ombrello, gettata a terra. Un libro ha abbandonato la compagine dei propri simili e sta appoggiato per lungo, anziché in verticale. La gardenia non è stata curata, e le foglie si sono accartocciate in secchi rotolini che del verde conservano solo il ricordo. È un cattivo presagio, ma si può recuperare, credo!
Saranno stati i dettagli, sarà stato il senso di colpa, ma il mio umore è cambiato. Ho lanciato un’occhiata a K%, che non ha ricambiato, tutto preso da un preistorico Tomb Raider, come se si illudesse di poter far finta di niente. In fondo ciò che è successo non ha importanza, anzi sono stata rimpiazzata con Lara Croft!
Due promesse: rimetterò in ordine questo posto, e cambierò federe e lenzuola!

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domenica 10 luglio 2011

Happy End

Ci sono sviluppi positivi. Ne racconterò appena mi riprendo. Il blog non mi è stato granché utile in questo senso, ma è stata un’esperienza notevole. Troppo breve per darne un giudizio a freddo, mi limito quindi a “notevole”.
So che sei in giro e so che va tutto bene. Ho smesso di preoccuparmi. So che tornerai, come sempre, ma finché non sei a dormire nella stanza accanto alla mia non demorderò! E scriverò ancora! Ciao

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giovedì 7 luglio 2011

Porta aperta

Ho abbassato la maniglia e spinto. K% è schizzato dentro e tempo un secondo era già in ammirazione davanti alla tua roba. O almeno è quanto credo possa essere successo, visto che io tenevo lo sguardo fisso a terra. Non oso pensare fino a che punto ti possa innervosire l’idea di uno che gira senza controllo, a mettere le mani sulle tue preziose collezioni, ma in fondo un po’ di sofferenza te la meriti!
Sono rimasta ferma sulla soglia un po’ di tempo, per fortuna K% non ci ha fatto troppo caso, tutto preso ad accendere una PlayStation primo modello, di cui ammiro sempre la testardaggine con la quale è sopravvissuta a tutti questi anni. Quante volte ti ho vista montarla e smontarla!
Uno, due passi, le gambe che tremavano, ho saggiato il tappeto con la punta del piede, quasi con il timore di sprofondare. Non c’era il tuo portatile a terra, e, ovviamente (ma cosa mi aspettavo?) non c’eri tu, e nemmeno una tua mutazione in chissà quale tipo di insetto.
Non ho guardato con quale CD armeggiasse K%, sono andata direttamente verso il letto. Mi ci sono buttata sopra, e ho immerso il viso nel cuscino, a cercare il tuo profumo. Ho perso il senso del tempo e non so quanto sono rimasta sopra quelle lenzuola. So solo che quando ho ripreso contatto con la realtà, K% era sdraiato al mio fianco, ed era quello che desideravo.
Gli ho sorriso, dai miei occhi deve essere partito un raggio traente come quello di Star Trek, e in un attimo me lo sono ritrovato addosso. Con il suo peso mi ha schiacciata, ma non mi è importato: due baci interminabili mi hanno fatto dimenticare ogni dolore.

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martedì 5 luglio 2011

Porta chiusa

Quando è pronta la cena vorrei venire ad aprire la porta della tua stanza e chiamarti. Ti troverei, come sempre, seduta sul tappeto a trafficare col portatile. Da quando non ci sei, quella porta l’ho sempre vista chiusa e non ho mai osato toccarla. Mi ricorda il fosso che si è formato tra noi, e mantiene vivo il mio dolore. Se l’aprissi, rischierei di perdermi nella disperazione. Però sarebbe bello, sarebbe da provare: entro nella stanza e ti trovo lì.
La porta mi sfida, immobile e geloso custode dei segreti che nasconde. Mi spinge ad odiarla e a volte ad odiare anche quello che hai nella tua camera. Vorrei dare fuoco a tutto.
Quando sono più nera del solito, coinvolgo anche te nelle mie fantasie, salvo poi pentirmene e vivere ore di sensi di colpa.
Ti immagino abbandonata sul tappeto, con le gambe divaricate, le cosce inzuppate di sangue (dov’è il neonato? Non lo sento urlare), o con gli intestini fuoriusciti da uno squarcio del ventre, ad avvolgere il portatile come tentacoli di una piovra.
K% mi ha chiesto se potevamo entrare: è attratto da tutti i giocattoli elettronici che conservi. Non prendertela, in passato ci ha già messo le mani. Potevo continuare a fingere che questa parte della casa non esistesse? Ho colto l’occasione per darmi una svegliata.
Non gli ho detto che la notte, quando passo davanti alla tua porta per andare in bagno, mi sembra di sentire rantoli inumani, e nemmeno l’ho avvertito che, aprendola, avremmo potuto trovare una gigantesca mantide ad occupare tutto lo spazio disponibile. L’insetto avrebbe strappato la testa di K% in un sol colpo, e poi avremmo banchettato.

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domenica 3 luglio 2011

Due gelati

Come sapete è passato a casa mia K%, un ottimo amico che ha iniziato a farsi risentire dopo la rottura con la sua ragazza. Si era eclissato negli ultimi mesi e ritrovarlo in chat mi ha fatto piacere, così come è stato bello condividere un gelato in una giornata a dir poco torrida!
A proposito dell’anonimato che mi circonda, estremizzare questo aspetto di cui sono tanto orgogliosa può attirare effettivamente diversi “followers”. Ma anche tanta gente strana, con in testa una curiosità morbosa, che prova a indovinare “@hotmail”, “@gmail” eccetera e si mette a caccia, lasciando stupidi messaggi privati. Lasciamo stare, ma visto che qualcosa è successo, non è detto che non torni sull’argomento.
Quello che mi chiedo è se sia “sano” lasciare in giro le proprie foto e i recapiti o rischi di farci sentire più nudi e indifesi. Per la cronaca, né io né K% siamo su Facebook, e lui nemmeno ha un suo blog. Mi fermo qui, o penserete che siamo due anziani che borbottano sulle abitudini altrui. In ogni caso, ben vengano le vostre opinioni.
Ah, su K%: in questo caso non ho mascherato molto, visto che è il suo nick in chat, e comunque nel suo nome c’è una lettera “C”. La percentuale l’ho aggiunta io, perché giudica le birre solo in base alla gradazione alcolica: le migliori ce l’hanno alta.
Altra parentesi: mi sono accorta di odiare il concetto di “follower”. Mi sembra sbagliato come termine, fa pensare ai membri di una setta; diventa un metro di giudizio sulla qualità del blog, che è una pura idiozia, e implica anche una malcelata intimità tra sconosciuti, che mi fa venire l’allergia! Prima o poi dovrò ammettere che la mia mente sia pronta per l’ospizio. Oppure cercherò un sinonimo.
Sto divagando di nuovo. Volevo scrivere che K% mi ha dato un’idea per un paio di post che penso metterò online nei prossimi giorni, ma non subito.
Prima, devo raccontarvi un passo importante compiuto insieme a lui, e non si tratta di quello a cui starete tutti pensando!
A presto miei... followers!

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venerdì 1 luglio 2011

Secondo tempo

La presenza di mia sorella in balcone, chiusa fuori, non era l’unico dettaglio anomalo della faccenda. Al contrario dell’ultima volta in cui l’avevo vista, sfoggiava un aspetto cadaverico e difficilmente potevo giustificare i bulbi bianchi che si protendevano oltre le orbite come un vezzo dettato da una qualche moda giovanile. Sembrava che ci fosse un dito dietro ciascun occhio, a spingerlo in fuori e a muoverlo in tutte le direzioni, nel vano tentativo di catturare la mia immagine.
Scattai a sedere sul letto,  il massimo che il mio istinto di sopravvivenza fu in grado di elaborare come via di fuga. Incapace di muovermi, aspettavo che il mio destino, qualunque esso fosse, si compisse al più presto.
Il mostro là fuori colpì il vetro con il palmo della mano destra. Una crepa si propagò a raggiera, finché la portafinestra esplose, proiettando frammenti di vetro all’interno della stanza.
Chiusi gli occhi e li coprii con le mani, ancora stupidamente seduta sul letto. Un’improvvisa secchiata mi sferzò violentemente da capo a piedi. Sentii in bocca il sapore dello zucchero. Appena l’ossigeno si fu fatto strada fino ai polmoni, arrivò la seconda ondata, e una corrente dal basso cominciò a allagare il letto.
Il livello dell’acqua nella stanza saliva, e io con lui, e ben presto finì lo spazio per respirare. Trattenni l’aria e cominciai a inabissarmi. Quando riuscii ad aprire gli occhi la vidi: mia sorella, nuda, bella come non mai. Il liquido aveva levigato il suo corpo, e forse anche il mio; lo aveva pulito e rimpicciolito.
Sono più giovane di te, ma se fossimo state gemelle, questo sarebbe stato il nostro congiunto affacciarsi alla vita. Una fugace serenità mi ha pervaso nel momento in cui, aperti gli occhi, ho capito quanto può essere dolce la morte.

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giovedì 30 giugno 2011

Intervallo

Vi siete divertiti e, tornata la luce in sala, siete corsi a commentare la storia. Da questa immagine mi è venuta l’idea di concludere il racconto, per tornare dal prossimo post nel mondo reale, dove tutti i personaggi sono vivi e non hanno le guance bruciacchiate. Chi è uscito per esigenze corporali o per prendersi un sacchetto di denti (scusate, intendevo pop-corn) è pregato di affrettarsi a rientrare in sala. Sto per spegnere di nuovo le luci e riprendere la proiezione.
Dimenticavo: ben vengano i vostri finali alternativi! Sono sempre in cerca di nuove idee per futuri incubi...

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martedì 28 giugno 2011

Voglia di

Mi sono svegliata verso metà pomeriggio e la stanza era inondata di sole. Mi aveva disturbato il sonno una pioggia di sassolini che tamburellava sul vetro della portafinestra. Il tempo di mettere a fuoco la sagoma in controluce e tu eri sul balcone, Y.
Vado a memoria, e qualcosa aggiungo di sana pianta. Le guance erano strappi dai contorni anneriti. I tuoi capelli ridotti a pochi ciuffi su un cranio lucido. Avevi la mia stessa biancheria, quella stupida a righe. I tuoi occhi erano due palle bianche che spingevano fuori dalle orbite. E mi cercavano.
E mentre restavo paralizzata a fissarti, scoprivo che i sassolini erano denti, che cadevano sulle piastrelle davanti ai tuoi piedi nudi. Uscivano dai tagli sulle guance, dalla bocca spalancata e muta, ma anche dal naso e dalle orecchie.
A quel punto mi sono svegliata sul serio, e avevo voglia di pop-corn! Ancora adesso, mentre lo scrivo, a pensarci mi scappa una risatina nervosa che forse nasce spontanea a combattere la pelle d’oca.
Qualcosa visto in televisione oggi o nei giorni scorsi deve avermi raschiato qualche neurone di troppo!
Tra poco arriva K%, che ti conosce solo di vista. Ho voglia di raccontargli come ti ho trovata in forma, tanto per fargli passare l’appetito. Potrei spegnere le luci e mettermi ad urlare che ti rivedo alle sue spalle!
Mi fermo qui, mi sto facendo paura da sola. In realtà riesco a scherzarci sopra perché di giorno non vedo le cose tragiche come in piena notte. Devo però ammettere che questo sottile velo di insensato, primitivo terrore mi fa sentire più viva.

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lunedì 27 giugno 2011

Come briciole

Quando ho deciso di scrivere un blog sono finita su Blogger perché quasi tutti i siti che frequentavo si basavano su questo sistema. Appena ho configurato il mio spazio, ho iniziato a guardarmi intorno, in preda a fissazioni per layout, widget e modifiche all’HTML. Alla fine mi sono arresa ad una configurazione poco più che standard, ma è rimasta la vertigine per quel che ho intravisto: è stato come guardare giù da un dirupo. La “blogosfera” sembra non avere confini.
Mi sono avventurata oltre l’orticello dei soliti quattro - cinque blog che seguivo e sono partita così verso l’infinito e oltre! Se non l’avete ancora fatto, concedetevi la possibilità di vagare al di fuori dei soliti link preferiti, troverete un piccolo paradiso fatto di ricette, idee per la casa e bijou, fotografie, poesie. Mi rendo conto di avere meno tempo libero di prima, ma ne vale la pena!
Ho commentato i post che incontravano i miei gusti (ma ho lasciato anche -pochi- commenti tremendi...) e qualche briciola lasciata dietro di me in questo viaggio è stata raccolta da voi che state leggendo e che mi avete lasciato un sacco di auguri e commenti carini! Con questo post mando un *GRAZIE* a voi che mi passate a salutare. Considerate questa pagina come se fosse casa vostra, anzi, non esageriamo, come una piccola “dependance”: se vi fate sentire, qualcun altro andrà a guardare il vostro blog e questo sarà uno dei tanti snodi della nostra piccola galassia virtuale.
Prima immaginavo questo luogo come un foglio, poi, complice il layout “stile carta da parati”, ha cominciato a darmi l’idea di una stanza, dove qualcuno ogni tanto entra, dà una veloce occhiata agli scarabocchi sul muro, ed esce. Il fatto che ci sia chi si è appassionato al paio di post pubblicati mi fa pensare ad un piccolo porto. Farò scorrere lo sguardo sulla folla, e tra tutte quelle facce anonime individuerò l’unica per cui tutto questo abbia avuto senso.
E’ stato un po’ imbarazzante per me partire e trovarvi qui, ma allo stesso tempo sono contenta e adesso ho un bell’elenco di posti dove correre quando ci saranno aggiornamenti. Ci vediamo là!

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domenica 26 giugno 2011

Alla finestra

Oggi pensavo di svegliarmi e trovare la scrivania sepolta da una montagna di stampe del primo post, che magari dal tuo computer lanciavi sulla mia stampante! Sarebbe stato uno scherzo degno di te, ma forse stai aspettando un'occasione più ghiotta. Quando sarà tutto finito, all'improvviso mi citerai a memoria qualcosa di sdolcinato che avrò scritto qui, giusto per mettermi in imbarazzo per qualche giorno!
Ho tanta voglia di scriverti, ma non lo farò tutti i giorni. Mi accorgo che sto qui a studiare ogni parola, finché le frasi, a furia di rileggerle, mi sembrano sciocche e lascio perdere. Non vorrei finire per abbandonare questo (esperimento?), perché, anche se la prendo alla larga, per me è importante riuscire a dirti tutto quello che vorrei. E lo farò! Puoi scommetterci!
Ieri ho scritto del gatto, e la cosa mi ha messo addosso un'angoscia inaspettata. Noi eravamo delle pesti, ma non lo abbiamo mai trattato male. Io però davvero l'ho sempre considerato quasi solo come un giocattolo. Anche quando è bastato aprire la porta di casa e in un lampo è sparito fuori senza più tornare, ricordo di non aver versato una lacrima. Ho sempre immaginato che avrebbe ritrovato la strada, o che sarebbe stato sostituito da un altro “giocattolo”. Non è successa nessuna delle due cose. Credo tu capisca cosa intendo, anche tu non sembravi particolarmente colpita. Ieri sono stata alla finestra almeno un'ora a guardare fuori. Non mi illudevo di veder passare A, ma gli ho dedicato un lungo pensiero che si meritava da tempo.
Ecco, mi sei subito di nuovo venuta in mente tu. Non voglio tra qualche anno ritrovarmi alla finestra a chiedermi se te ne sia andata o no per colpa mia.
Questo diario sarà stata davvero una buona idea? Mi sembra di essere diventata una lagna!

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sabato 25 giugno 2011

Si parte

(Digital Samurai by Mick Brownfield)

Questo blog, lo sai, non è una mia idea. E' uno di quei colpi di genio per cui è pagata la Dottoressa. Mi piace “Dottoressa” scritto maiuscolo come il cattivo di un cartone animato. Mi perdonerà, a me poi è molto simpatica, ma non posso certo scrivere il suo nome e cognome in rete.
Tempo fa credo di averti raccontato, ma non so se mi stavi ascoltando, che avrei dovuto scrivere ogni giorno due righe sui miei pensieri e su quello che facevo durante le mie giornate: forse sto esagerando con questa storia che mi annoio. E' che a volte penso che davvero riuscirei a passare un'intera giornata a sbuffare! L'idea è che, rileggendo queste righe, io riscopra parti di me e della mia vita che do per scontate, o qualcosa del genere. Non metterti a ridere!
Potrei sembrare ripetitiva, ma ci tengo a ribadire che non è stata una mia idea. E non voglio neanche dare troppa gloria alla Dottoressa. Fosse per me, scriverei qui solo palle. Sono grande abbastanza per capire che c'è chi potrebbe risalire a me e farmela pagare cara per quello che penso davvero su certa gente e certe cose. Allora perché il diario? Sai, buttare giù queste righe è un tentativo di rimettermi in contatto con te, più che con me. Farò in modo che tu finisca qui nel tuo girovagare, metterò qualche parola chiave che ti porterà a me, almeno in rete.
Agli altri che stanno leggendo: non ci saranno nomi, dettagli, fatti personali. Solo frammenti della mia vita di questi giorni, che voglio condividere con te, sorella, che non sei qui. Sì, sono A. Ed è l'iniziale del mio vero nome. La stessa iniziale del nome del micio che abbiamo strapazzato da bambine! Sono passati una decina di giorni, e mi continui a mancare, Y.

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