domenica 31 luglio 2011

Mister C

K% reggeva due bicchieri in cui brillava un liquido di un azzurro così luminoso, da insinuare il dubbio sull’opportunità di farlo finire per davvero nello stomaco. Al suo fianco, Mister C, il corriere che con cadenza quasi quotidiana porta materiale nella galleria. Come conosce K%?
Avevo disdetto l’uscita con le due colleghe “streghette”, per incontrare durante la serata uno che sicuramente il lunedì avrebbe tirato fuori la battuta impropria sulla reginetta della notte! Che odio! La scorbutica, depressa e schizzata maniaca della vernice vincerà pure il premio di asociale dell’anno!
Ho elencato mentalmente le varie opzioni a mia disposizione. Avrei potuto attirare con una scusa Mister C nei bagni e poi improvvisare: incollaggio delle labbra, taglio della lingua, tonsillectomia, minaccia del silenzio tenendogli un po’ la testa nell’acqua del water.
E Mister C mi è simpatico, figuratevi cosa potrei organizzare se non lo fosse! Viene in ufficio e ha quasi sempre a che fare con me, che prendo in carico i pacchi e la corrispondenza, o decido dove immagazzinare la merce; praticamente lo considero un collega.
Si sono avvicinati e io ho fatto spazio sul divanetto a K%: volevo fargli assaporare un po’ di schienale bagnato, per aver osato escogitare un modo per raggiungermi perfettamente asciutto. Mister C mi ha fatto un cenno, il volume della musica a quella distanza mi avrebbe in ogni caso impedito di sentire la sua voce calda e suadente da latino (dovrebbe essere di origini messicane).
E’ indietreggiato due passi ed è sparito per magia nella folla, lasciandomi di nuovo libera dall’abbraccio soffocante del mio posto di lavoro.

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sabato 30 luglio 2011

Cannucce fluorescenti

Con chi era K%? La sto tirando per le lunghe, è vero; facciamo che vi dico subito con chi non era. Non era con la sua ex, né con mia mamma o con il mio capo, e tanto meno con Y.
A proposito della finta-Y, l’ho vista vagare nell’area dei divanetti. Lavorava nel locale, mi è sembrato che desse in giro volantini. Quando si è presentata al famoso divanetto ad L, mi ha praticamente ignorata (si capiva così ad occhio nudo che ero capitata lì per caso?) e si è messa a confabulare con “quelli del lato lungo”. Erano due coppie, con le parti maschili prese a ridersela di gusto per tutto il tempo e le compagne a sorseggiare noia da cannucce fluorescenti. Per un po’ ho rappresentato una fonte di interesse per loro. Non credo avessero capito quanto fossi zuppa, perciò chissà cosa si saranno immaginate a giustificazione dei miei scatti e del mio continuo scostare i vestiti dalla pelle.
La finta-Y era piegata in avanti a parlare con i quattro e così l’ho potuta vedere da vicino. Si era cambiata. Dalla mia postazione ero quasi in comunicazione diretta con la parte finale del suo intestino, perciò mi sono limitata a consumarmi nell’imbarazzo. Quando si è voltata, mi sono accorta di aver fallito su tutta la linea. I tratti del viso erano completamente diversi da quelli di Y.  Solo il taglio di capelli poteva forse ricordarla lontanamente.
Per rimarcare quanto anch’io non volessi avere a che fare con quella sosia da due soldi, mi sono messa a giocare con il mio caschetto, nascondendo un po’ il viso e voltandomi verso il bancone. E lì, lui, sempre lui. Torniamo ancora a K%.
E a chi lo accompagnava.

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giovedì 28 luglio 2011

Acchiappa fantasmi

Devo ammettere che siamo stati fortunati a ritrovarci. E’ vero che esistono gli SMS, ma non è stato male farcela senza ricorrere ai telefonini. Eravamo due persone sedute in un locale che conteneva grosso modo mezza città, eppure i nostri sguardi si sono incrociati. Un segno del destino? Non scherziamo!
K% non accende alcuna sirena di allarme nel mio sistema di autocontrollo. D’accordo, d’accordo, l’ho baciato, ma avevo in testa un milione di altre cose. Anzi, facciamo tranquillamente un miliardo, così mi sento meno in colpa.
Prima di darmi della mangiauomini, Vostro Onore, Vi prego di considerare che sicuramente K% aveva la sua ex in mente mentre giocherellava con la mia lingua, e che alla fine sono stata sfruttata per una breve parentesi tra due sessioni con Lara!
Cos’ha K% che non va? Anzi, se stai leggendo: cos’hai che non va? Prima di tutto, per me è un amico. Mi è capitato già una volta di calpestare questa regola sacra e non lo farò mai più. E poi, manca uno spunto, un dettaglio che lo renda interessante, meno anonimo. Io sono un blocco di ghiaccio, per farmi ingranare la marcia devo trovare qualcuno più strano di me. Missione impossibile!
Forse non sarò stata carina, a sputare tanti giudizi in pubblico, ma K% è solo un fantasmino che svolazza attraverso la Rete, non lo riconoscerete certo per strada.
E poi, in fondo in fondo, me la deve pagare, visto con chi si è presentato.

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martedì 26 luglio 2011

Desideravo evaporare

Una volta dentro, ho sentito l’impellente bisogno di un posto dove sedermi. Ho individuato un divanetto a L. La parte corta della struttura era libera e abbastanza larga per ospitare sia la borsa che la felpa. Avevo sperato in una sistemazione più “indipendente” ma, superato il blocco mentale della vicinanza forzata con sconosciuti, mi ci sono avventata.
Desideravo evaporare insieme ai miei vestiti.  L’aria densa del locale non aiutava. Dalle casse la musica penetrava direttamente nello stomaco e nel cervello: quella notte avrei condiviso il letto con un molesto fischio monocorde appollaiato sul cuscino vicino al mio orecchio. Intorno a me pascolavano personaggi con l’occhio da cacciatore e la paura della preda. Al solito mi sentivo fuori posto, e per giunta senza principe azzurro.
Il fatto che fisicamente non sia messa male mi metteva addosso la sensazione di essere un agnello sacrificale alla mercé di un prevedibile destino. Avrei dovuto pensare al trucco completamente sfatto, invece mi ero isolata in un mondo parallelo, a rimuginare su minacciosi coltelli rituali!
Al secondo cuba libre ero ancora piuttosto fradicia. La mia schiena aderiva attraverso vari strati di stoffa allo schienale in pelle. Gli slip sembravano l’unico indumento a essersi salvato. Il vero fastidio erano le gambe dei pantaloni che, nella zona dei polpacci erano diventate un tutt’uno con la carne. I calzini non ce l’avrebbero fatta a superare la nottata.
Il bancone veniva ciclicamente sommerso dalla marea umana in cerca di benzina per il fisico e lo spirito. In un momento di riflusso ho scorto K%. Il problema era la persona con cui stava parlando.

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domenica 24 luglio 2011

Risciacquo delicato

Man mano che mi avvicinavo, il mio passo si faceva incerto, finché mi sono bloccata in mezzo alla strada, gli occhi inondati di pioggia e pianto. Non eri tu. Sarebbe stato troppo facile. Quella aveva la tua corporatura, i tuoi vestiti e la tua bicicletta, ma non eri tu.
Stavo ancora pensando alla bici. Gialla, da donna, il fanalino posteriore a penzolare come la lingua di un cane. Ecco, riflettendoci lucidamente, quella gialla è la mia, e sono sicura che non abbia preso il volo insieme a te. Mentre registravo questo dettaglio, un automobilista ha suonato con foga il clacson, sterzando all’ultimo momento per evitarmi. Solo allora una specie di rubinetto aperto in faccia mi ha ricordato che ero sotto una tempesta tropicale.
Il vento mi aveva sollevato canottiera, camicia e felpa degli Orlando Pirates. L’acqua dalla pancia grondava sotto la vita e risaliva verso il collo lungo la schiena. Avevo l’impressione che la mia testa fosse infilata in una centrifuga e che i capelli si stessero staccando uno ad uno.
K% mi osservava con gli occhi sbarrati da dietro il finestrino. Si era spostato sul mio sedile e ora non muoveva un muscolo, come ipnotizzato. Probabilmente sarebbe stato lì dentro per sempre: qualsiasi ombrello si sarebbe disintegrato nella bufera.
Dovevamo metterci un impermeabile come quello della tua sosia, che aveva dimostrato di avere più sale in zucca di noi! Magari avrebbe fatto meglio a evitare il tragitto in bicicletta.
Ho recuperato al colpo la dignità, sfilando fino a raggiungere il buttafuori con l’incedere solenne di una sposa che va all’altare. Deve avere aiutato, perché il gorilla si è scostato senza la minima esitazione e mi ha fatto entrare.

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venerdì 22 luglio 2011

Bicicletta gialla

Ero intenta a dirigere dalla terrazza gli effetti speciali del diluvio, quando al fragore della pioggia si è mescolata la vivace quanto infantile melodia della sigla dell’Uomo Tigre. Sono rientrata; nella stanza trillava con insistenza la suddetta suoneria, sovrastando completamente il rumore dell’acqua: la Tecnologia alla fine ha avuto la meglio sulla Natura.
Era K%. Dovevo scegliere se fare un giro con lui oppure passare la serata con le due streghette dell’ufficio. Si erano prenotate per prime, ma sospettavo si trattasse di uno scherzo.
Sarei rimasta volentieri all’asciutto, a vegetare davanti alla televisione, ma mi sono fatta trascinare dall’ometto verso un ineluttabile tripudio alcolico, fondamentale per lavare i sensi di colpa e le paranoie di entrambi. Ancora una volta, metto le mani avanti: non aspettatevi come resoconto una trama da film porno! Siamo due giovani casti in via di estinzione!
K% è dovuto scendere con la macchina fino nel garage, visto che non avevo intenzione di rischiare l’osso del collo correndo tra la porta di casa e il sedile della sua auto attraverso le cascate del Niagara.
Guidava lui, ma non sembrava orientarsi molto bene, penso a causa del muro d’acqua. Mi ero calata con una certa rassegnazione nel ruolo di navigatore umano, fornendo con voce piatta le necessarie indicazioni. Ad un tratto ti ho vista. Sono ammutolita, gli occhi sgranati a fissare un punto alla nostra destra. Eri in bicicletta, trattenevi con una mano il cappuccio dell’impermeabile, e pedalavi con la schiena curva sul manubrio. Mi sono aggrappata al braccio di K% e ho farfugliato qualcosa che deve essere suonato vulcaniano. Anche lui deve averti riconosciuta, perché senza dire una parola ci siamo lanciati all’inseguimento. Non andavi veloce, ma ogni tanto svanivi inghiottita dal traffico; ti abbiamo persa diverse volte.
Ti sei fermata davanti ad un locale. Perfetto! In fondo eravamo usciti proprio per andare in un posto come quello! Sono smontata dalla macchina. In quel momento della pioggia non mi è importato niente.

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giovedì 21 luglio 2011

Quanta acqua

L’altra sera, mentre guardavo la TV, è scoppiato un tremendo temporale. Un boato ha fatto tremare i vetri, seguito da uno scroscio assordante. Dopo un iniziale spavento, sono uscita in balcone, attratta da un intenso spettacolo di tuoni e fulmini. L’aria era così umida da essere soffocante, eppure c’era vento. I tuoni erano tanto vicini da scuotere le fondamenta, sembrava che da un momento all’altro dovesse saltare il tetto. E i lampi? In rapida successione, la terrazza e tutto il circondario venivano illuminati a giorno per alcuni interminabili secondi, prima di ripiombare nell’oscurità. Ho ripensato con una certa apprensione ad un articolo letto di recente sui fulmini globulari che ti rincorrono fin dentro casa.
Assistevo dal mio riparo a quell’apocalisse d’acqua che investiva il mio quartiere, la mia città, e, perché no, probabilmente l’intero pianeta. Qualche schizzo rimbalzava sul parapetto e, sospinto dal vento, mi colpiva sulle braccia o sul viso.
Che fastidio! Fosse per me, non uscirei sotto la pioggia neanche con l’ombrello. Detesto i vestiti bagnati che si appiccicano alla pelle e l’umidità che penetra fin nel midollo. Ho contemplato la furia della natura, sfidandola imperturbabile dal mio rifugio, nonostante venissi provocata da alcune moleste gocce! Quasi non vedevo oltre la ringhiera. Un muro d’acqua illuminato dai lampioni ondeggiava sinuoso davanti a me in balìa delle folate di vento.
Indovinavo soltanto l’insegna del sushi bar in basso, di fronte al mio palazzo. Un pesce rosso obeso, dallo sguardo non troppo sveglio, illuminato di rosso con neon dalle proprietà antinebbia! Quanto odio quello stupido posto.
Mi sono domandata se anche tu stessi guardando lo stesso spettacolo in quel momento, se avessi voglia di sushi, se io ti stessi mancando, se avessi sentito un’edizione straordinaria su un’alluvione planetaria in corso. Non ti ho mai chiesto se, come me, non sopporti camminare sotto la pioggia...
In questi giorni sono un po’ giù, e il maltempo non migliora l’umore. Nel prossimo post, NON aspettatevi la storia di un esercito di gamberetti che si scoccia del tombino perennemente intasato quando piove ed esce alla conquista della Terra!

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lunedì 18 luglio 2011

Vi osservo

Il capo mi ha convocata nel suo studio. Qualche domanda banale sull’arrivo delle ricevute delle raccomandate inviate ad un gruppo di fornitori. Non sono stupida, sapevo che voleva studiare le mie reazioni. Dal giorno successivo al fattaccio, l’ho visto aggirarsi per l’ufficio più attento alle nostre espressioni che alle carte appoggiate sulle scrivanie.
Seduta di fronte a lui, ho dato una veloce occhiata intorno a me, e, con studiata casualità, all’armadio dei raccoglitori, mentre stavo ad ascoltare quello che aveva da dire sui prossimi fornitori da contattare. Sono tornata a guardare dove sapevo, ho aspettato pochi secondi e sono scattata in piedi verso l’armadio, quando ancora parlava. Mi merito l’Oscar.
Ho indicato una grossa macchia gialla che si era seccata sulla base di un’anta di vetro e ho chiesto spiegazioni.
Il capo ha accennato ad un incidente, poi ha farfugliato qualcosa su un “gesto artistico” e mi ha chiesto di tornare seduta.
Deve essere stato traumatizzato, perché il solo ricordo lo ha innervosito così tanto da impedirgli di riprendere il filo del discorso; infine mi ha lasciata tornare al mio posto.
Regna un’aria stranamente tranquilla in ufficio. In silenzio, tutti accusano tutti, e io rido sotto i baffi che non ho. Nessuno osa più alzare la voce. Hanno paura di trovarsi la vernice nel computer, sulla macchina, nel dispenser del sapone in bagno, oppure ben colata in gola!

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sabato 16 luglio 2011

Versione 4

Per la prima volta, sono uscita dall’ufficio sorridente! Ho fatto colare la vernice all'interno di sei-sette grossi raccoglitori ad anelli. Sono stata ad ammirare il colore piovere in dense gocce sul blocco di fogli, per poi venire risucchiato dalla gravità. Naturalmente ho evitato di sporcare in giro, altrimenti che gusto c'è! Quando il capo cercherà di staccare due pagine di un contratto incollate dalla mia ritorsione color mimosa, forse cambierà atteggiamento verso noi povere impiegatine! Avrà altro contro cui sfogare le sue energie!
Sono ancora inebriata dalla soddisfazione, immobile in mezzo al marciapiede. Quasi non sento un  pedone lamentarsi che ho bloccato il passaggio. Ho in mente questioni più importanti della deambulazione altrui: avrei dovuto usare un fazzoletto, dei guanti, avrei dovuto raccogliere i capelli, entrare scalza o al contrario con stivaloni di un'altra taglia? Abbiamo visto tutti la polizia scientifica all'opera, sappiamo come sono sempre puntigliosi sulla scena a cercare il dettaglio decisivo.
Ma ecco, succede qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Un urlo disumano riempie la via. Lo riconosco. E' il mio capo. Come è possibile che sia già in ufficio? Mi avrà vista? Un tramezzino, spiluccato per metà, cade dall'alto e si spiaccica ai miei piedi. Perde maionese in più punti, sarebbe forse il caso di chiamare i soccorsi.
Il tramezzino si riscuote, la fetta superiore ha un leggero fremito. Una piccola processione di gamberetti lascia la salsa (meno male che non c'era la rucola, avrebbe limitato i loro movimenti) e si riunisce intorno al cadavere. Fanno forza sulle zampe (da dove sono spuntate?) e sollevano la vittima con le loro esili chele.
Resto a guardarli attraversare indenni la strada. Non penso più alle facezie del mio lavoro.
Se mi concentro, sento un flebile coro ripetere: Non cercarla! Non cercarla! Non cercarla! Non...

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venerdì 15 luglio 2011

Versione 3

Giusto per aggiungere sapori diversi al piatto...
Sto per entrare nell'ufficio del mio capo per lasciargli un ricordo indelebile, qualcosa che gli faccia capire che non ha a che fare con inermi bambini dell'asilo, e che quindi le sue sfuriate possono avere conseguenze. Azione uguale reazione. Umiliarmi uguale subire la mia vendetta.
Sto ancora mentalmente ripassando il libro delle torture, un passo e sono dentro. A differenza delle mie fantasie malate, in realtà spero di trovare l'ufficio vuoto e limitarmi a qualche danno, senza per forza ingiuriare corpi altrui.
E invece? Sorpresa! Il capo è seduto alla sua scrivania. Sta addentando quel che rimane di un tramezzino (pomodoro, gamberetti, maionese) ed è girato verso di me, sorpreso di trovarmi lì. Seduta di fronte a lui, Y gli stava mostrando qualcosa al cellulare. Anche lei si è voltata verso l'intrusa. La sua espressione è impassibile.
Reagisce immediatamente, si alza, va verso il capo e gli sussurra qualcosa all'orecchio. Lui fa un cenno con la testa, senza staccarmi gli occhi di dosso, imbarazzato.
Cosa si stanno dicendo che io non posso sentire? Che ci fa Y qui dentro?
Ancora una volta la mossa è di mia sorella, che con un rapido scatto si lancia contro la finestra. Il vetro esplode verso l'esterno, e lei è risucchiata fuori. Corro a sporgermi, ma di sotto non c'è nessuno.
Sento sbraitare alle mie spalle, il capo mi chiede cosa ho fatto alla finestra. Mi giro a guardarlo, devo capire se sta scherzando. Per tutta risposta getta verso di me la metà rimanente del tramezzino. Il tempo si dilata, vedo un piccolo gambero lasciare al rallentatore il suo rifugio di maionese, poi mi scanso.
Il tramezzino vola fuori dalla finestra, e io torno a guardare di sotto: sparito.

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giovedì 14 luglio 2011

Versione 2

Il danno causato, la follia di aver scritto il post precedente su queste pagine: continuo a pensarci. Ho fantasticato così tanto che vi dedico una versione alternativa!
Timbro l’uscita dal servizio: gli altri sono via in pausa pranzo, per me invece significa che la giornata lavorativa è finita. Il capo mi ha ripresa per una sciocchezza e sono stufa. Prima che trovi un pretesto per mandarmi via, decido di lasciargli un ricordo indelebile.
Entro nel suo piccolo studio e, sorpresa! Lui è alla scrivania, fissa il monitor. In una mano regge un tramezzino consumato per metà e contemporaneamente cerca di digitare sulla tastiera. Si volta verso di me: sembra altrettanto sorpreso. Mi sorride.
Vedo che distende le gambe e sta per poggiare il tramezzino: capisco che vuole alzarsi per venirmi incontro. Scatto verso la scrivania e afferro la prima cosa utile, un tagliacarte argento lucido. Mentre passo sull’altro lato del tavolo il mio braccio destro compie una parabola verso di lui. Avevo puntato alla gola, invece lo centro in piena fronte.
Un suono appena percettibile, solo qualche goccia di sangue, il capo reagisce e si spinge avanti. Non raggiunge il mio busto; con il braccio libero scanso i suoi maldestri tentativi di toccarmi. Il tagliacarte è piantato nella stessa posizione, ma capisco che non entrerà mai nell’osso. Il capo riesce ad alzarsi appena dalla sedia, quando aggancia la mia spalla sinistra e mi tira verso di lui. Grida come un invasato. Mi sbilancio colpendo il bordo della scrivania e qui succede qualcosa di imprevisto.
Il tagliacarte scivola dalla fronte e accelera scendendo lungo l’attaccatura del naso. Prima che possa accorgermene penetra l’occhio destro. Penso ad un cucchiaio che affonda in un budino, mi viene quasi fame.
Il capo non urla, smette di reagire, chiude l’altro occhio. E’ stato semplice e veloce. Ha un fremito nelle gambe, che termina solo quando spingo ancora più a fondo.
Esco dallo studio, trovo i colleghi ad applaudirmi. Li ho liberati, e adesso saranno loro a liberare me. Chiudo gli occhi e allargo le braccia. Mi strattonano per la spalla, qualcuno mi morde un orecchio. Un seno è strizzato così tanto che quasi non lo sento più. Mi lascerò divorare, e spero in questo modo di nutrirli di proteine e rivoluzione.

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mercoledì 13 luglio 2011

Piatto freddo

Questo fine settimana viene una combriccola di artisti cittadini: espongono, fanno baldoria e da domenica l’esposizione sarà aperta al pubblico. Le pareti della galleria dovrebbero essere foderate da una stupida carta da parati con un disegno che ricorda il cartone da imballaggio stropicciato. Ho detto “dovrebbero” perché la sottoscritta non ha mandato avanti l’ordine e molto probabilmente non si farà mai in tempo.
G, una delle due streghette del marketing dice che avrei dovuto guardare la cartella con il render e accorgermi da sola che quella texture era una carta da parati specifica (e non un tocco artistico generato casualmente dal computer!), e che lei non ha tempo per spiegarmi ogni dettaglio visto che ne perde già abbastanza a preparare le simulazioni dell’allestimento per i clienti (e per me).
Per farla breve, non solo ho incassato una sfuriata dal capo, ma anche dal suo segretario, davanti a tutti. Non so bene che diritto abbia quest’ultimo di metterci il becco.
E io cosa ho risposto? Niente, intanto perché mi interessa poco o nulla di chi sia la colpa, e poi perché subisco tutto passivamente, sempre. Se qualcosa andasse davvero storto, i miei mi troverebbero un altro posto. Strampalato come questo, sicuro! Ho in testa troppe cose per stare dietro a questa banda, ho pure raddoppiato le ore settimanali dalla Dottoressa.
Per tagliare i rapporti con un minimo di soddisfazione, ho aspettato la pausa pranzo, ho timbrato e mi sono attardata in ufficio. Sono entrata nell’angusta stanza del capo e ho visto per terra una serie di barattoli per le prove colore. Ho preso quello tinta mimosa, ho aperto l’armadio dei raccoglitori (contratti, stampe dei render, pubblicità, schede delle manutenzioni) e ho versato la vernice sui fogli, facendo attenzione a non sporcare fuori.
Per la prima volta, sono uscita dall’ufficio sorridente! (segue l’eco di una risata malvagia)

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martedì 12 luglio 2011

Un passaggio

L’inizio settimana è già duro di suo, e a peggiorare la situazione ieri è arrivata da K% la proposta, ovviamente non desiderata, di accompagnarmi in macchina al lavoro.
Sto cercando di tenere le distanze, dopo quello che è successo. A mente lucida, sono convinta di non volermi assolutamente mettere con lui, che invece, in un modo o nell’altro, cerca di essere presente ogni giorno.
Sto violando molte delle mie regole: i fatti miei sono meno privati, comunico con gli altri attraverso un blog! Quasi spero che tu stia sbirciando le righe qui sopra, K%. È stato difficile scriverle, sarà difficile per te leggerle, ma così stanno le cose.
Voglio essere chiara. Camminando con calma sono in ufficio in mezz’ora e, a meno di diluvi estivi, dovrei farcela da sola!
Il passaggio avrebbe accorciato il tempo che impiego ad arrivare, tempo che passo in buona parte a ripetere mentalmente un elenco infinto di imprecazioni contro i colleghi. Non voglio perdere le “buone” abitudini, perciò ho rifiutato la cortesia.
Il mio posto di lavoro è un piccolo ufficio ricavato da un soppalco che domina una galleria d’arte. Gli spazi espositivi sono grandi; al piano interrato c’è addirittura un locale dotato di bar, pista e divanetti. Con me ci sono due ragazze che si occupano di marketing, il capo e il suo segretario, entrambi esperti d’arte. Io tengo in ordine le carte. Non si può dire che io segua la contabilità, visto che il commercialista e le paghe sono servizi esterni, diciamo che sposto fogli, inserisco dati nel computer, controllo ordini e fatture.
Fosse per me, starei tutto il giorno a poltrire, i miei potrebbero mantenermi senza problemi, ma un’alleanza tra la Dottoressa e mio padre ha decretato che uno stage part-time in un ufficio facesse al caso mio. Domani però scoprirete perché sia stata una pessima idea! (segue l’eco di una risata malvagia)

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lunedì 11 luglio 2011

Siamo foglie

Vorrei tornare su quanto accaduto sopra un letto non proprio di mia proprietà. Aiuta a capire come si sono ingarbugliati i rapporti con K%.
Si è trattato di un paio di baci; mi sono subito resa conto dei guai in cui mi stavo cacciando e mi sono bloccata. È stato buffo, avevo ancora le labbra incollate alle sue, quando una specie di scossa ha preceduto una paralisi di ogni mio muscolo! K% ha capito al volo, ha fatto armi e bagagli e si è allontanato.
Ci siamo alzati entrambi storditi: l’espressione di K% era quella di uno che non riesce a tenersi dentro un’esplosione di pensieri assortiti.
L’ho subito ignorato, e ho iniziato a guardarmi intorno. Che vergogna! Devo seriamente cercarmi un ragazzo, o la prossima volta salterò in braccio al mio capo!
C’era molta luce nella stanza, forse più di quanta ne avessi notata entrando. A parte l’imbarazzo, sarebbe dovuto essere divertente fare i deficienti nella stanza degli altri. Invece... quel posto era triste come un cimitero. Non parlo del disagio calato su di noi come una pesante coperta, e nemmeno del fatto che quel luogo fosse disabitato da diverso tempo.
È come è stata lasciata la camera da letto: i mobili non sono stati spolverati, c’è una tua canottiera, quella con Titty sotto l’ombrello, gettata a terra. Un libro ha abbandonato la compagine dei propri simili e sta appoggiato per lungo, anziché in verticale. La gardenia non è stata curata, e le foglie si sono accartocciate in secchi rotolini che del verde conservano solo il ricordo. È un cattivo presagio, ma si può recuperare, credo!
Saranno stati i dettagli, sarà stato il senso di colpa, ma il mio umore è cambiato. Ho lanciato un’occhiata a K%, che non ha ricambiato, tutto preso da un preistorico Tomb Raider, come se si illudesse di poter far finta di niente. In fondo ciò che è successo non ha importanza, anzi sono stata rimpiazzata con Lara Croft!
Due promesse: rimetterò in ordine questo posto, e cambierò federe e lenzuola!

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domenica 10 luglio 2011

Happy End

Ci sono sviluppi positivi. Ne racconterò appena mi riprendo. Il blog non mi è stato granché utile in questo senso, ma è stata un’esperienza notevole. Troppo breve per darne un giudizio a freddo, mi limito quindi a “notevole”.
So che sei in giro e so che va tutto bene. Ho smesso di preoccuparmi. So che tornerai, come sempre, ma finché non sei a dormire nella stanza accanto alla mia non demorderò! E scriverò ancora! Ciao

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giovedì 7 luglio 2011

Porta aperta

Ho abbassato la maniglia e spinto. K% è schizzato dentro e tempo un secondo era già in ammirazione davanti alla tua roba. O almeno è quanto credo possa essere successo, visto che io tenevo lo sguardo fisso a terra. Non oso pensare fino a che punto ti possa innervosire l’idea di uno che gira senza controllo, a mettere le mani sulle tue preziose collezioni, ma in fondo un po’ di sofferenza te la meriti!
Sono rimasta ferma sulla soglia un po’ di tempo, per fortuna K% non ci ha fatto troppo caso, tutto preso ad accendere una PlayStation primo modello, di cui ammiro sempre la testardaggine con la quale è sopravvissuta a tutti questi anni. Quante volte ti ho vista montarla e smontarla!
Uno, due passi, le gambe che tremavano, ho saggiato il tappeto con la punta del piede, quasi con il timore di sprofondare. Non c’era il tuo portatile a terra, e, ovviamente (ma cosa mi aspettavo?) non c’eri tu, e nemmeno una tua mutazione in chissà quale tipo di insetto.
Non ho guardato con quale CD armeggiasse K%, sono andata direttamente verso il letto. Mi ci sono buttata sopra, e ho immerso il viso nel cuscino, a cercare il tuo profumo. Ho perso il senso del tempo e non so quanto sono rimasta sopra quelle lenzuola. So solo che quando ho ripreso contatto con la realtà, K% era sdraiato al mio fianco, ed era quello che desideravo.
Gli ho sorriso, dai miei occhi deve essere partito un raggio traente come quello di Star Trek, e in un attimo me lo sono ritrovato addosso. Con il suo peso mi ha schiacciata, ma non mi è importato: due baci interminabili mi hanno fatto dimenticare ogni dolore.

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martedì 5 luglio 2011

Porta chiusa

Quando è pronta la cena vorrei venire ad aprire la porta della tua stanza e chiamarti. Ti troverei, come sempre, seduta sul tappeto a trafficare col portatile. Da quando non ci sei, quella porta l’ho sempre vista chiusa e non ho mai osato toccarla. Mi ricorda il fosso che si è formato tra noi, e mantiene vivo il mio dolore. Se l’aprissi, rischierei di perdermi nella disperazione. Però sarebbe bello, sarebbe da provare: entro nella stanza e ti trovo lì.
La porta mi sfida, immobile e geloso custode dei segreti che nasconde. Mi spinge ad odiarla e a volte ad odiare anche quello che hai nella tua camera. Vorrei dare fuoco a tutto.
Quando sono più nera del solito, coinvolgo anche te nelle mie fantasie, salvo poi pentirmene e vivere ore di sensi di colpa.
Ti immagino abbandonata sul tappeto, con le gambe divaricate, le cosce inzuppate di sangue (dov’è il neonato? Non lo sento urlare), o con gli intestini fuoriusciti da uno squarcio del ventre, ad avvolgere il portatile come tentacoli di una piovra.
K% mi ha chiesto se potevamo entrare: è attratto da tutti i giocattoli elettronici che conservi. Non prendertela, in passato ci ha già messo le mani. Potevo continuare a fingere che questa parte della casa non esistesse? Ho colto l’occasione per darmi una svegliata.
Non gli ho detto che la notte, quando passo davanti alla tua porta per andare in bagno, mi sembra di sentire rantoli inumani, e nemmeno l’ho avvertito che, aprendola, avremmo potuto trovare una gigantesca mantide ad occupare tutto lo spazio disponibile. L’insetto avrebbe strappato la testa di K% in un sol colpo, e poi avremmo banchettato.

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domenica 3 luglio 2011

Due gelati

Come sapete è passato a casa mia K%, un ottimo amico che ha iniziato a farsi risentire dopo la rottura con la sua ragazza. Si era eclissato negli ultimi mesi e ritrovarlo in chat mi ha fatto piacere, così come è stato bello condividere un gelato in una giornata a dir poco torrida!
A proposito dell’anonimato che mi circonda, estremizzare questo aspetto di cui sono tanto orgogliosa può attirare effettivamente diversi “followers”. Ma anche tanta gente strana, con in testa una curiosità morbosa, che prova a indovinare “@hotmail”, “@gmail” eccetera e si mette a caccia, lasciando stupidi messaggi privati. Lasciamo stare, ma visto che qualcosa è successo, non è detto che non torni sull’argomento.
Quello che mi chiedo è se sia “sano” lasciare in giro le proprie foto e i recapiti o rischi di farci sentire più nudi e indifesi. Per la cronaca, né io né K% siamo su Facebook, e lui nemmeno ha un suo blog. Mi fermo qui, o penserete che siamo due anziani che borbottano sulle abitudini altrui. In ogni caso, ben vengano le vostre opinioni.
Ah, su K%: in questo caso non ho mascherato molto, visto che è il suo nick in chat, e comunque nel suo nome c’è una lettera “C”. La percentuale l’ho aggiunta io, perché giudica le birre solo in base alla gradazione alcolica: le migliori ce l’hanno alta.
Altra parentesi: mi sono accorta di odiare il concetto di “follower”. Mi sembra sbagliato come termine, fa pensare ai membri di una setta; diventa un metro di giudizio sulla qualità del blog, che è una pura idiozia, e implica anche una malcelata intimità tra sconosciuti, che mi fa venire l’allergia! Prima o poi dovrò ammettere che la mia mente sia pronta per l’ospizio. Oppure cercherò un sinonimo.
Sto divagando di nuovo. Volevo scrivere che K% mi ha dato un’idea per un paio di post che penso metterò online nei prossimi giorni, ma non subito.
Prima, devo raccontarvi un passo importante compiuto insieme a lui, e non si tratta di quello a cui starete tutti pensando!
A presto miei... followers!

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venerdì 1 luglio 2011

Secondo tempo

La presenza di mia sorella in balcone, chiusa fuori, non era l’unico dettaglio anomalo della faccenda. Al contrario dell’ultima volta in cui l’avevo vista, sfoggiava un aspetto cadaverico e difficilmente potevo giustificare i bulbi bianchi che si protendevano oltre le orbite come un vezzo dettato da una qualche moda giovanile. Sembrava che ci fosse un dito dietro ciascun occhio, a spingerlo in fuori e a muoverlo in tutte le direzioni, nel vano tentativo di catturare la mia immagine.
Scattai a sedere sul letto,  il massimo che il mio istinto di sopravvivenza fu in grado di elaborare come via di fuga. Incapace di muovermi, aspettavo che il mio destino, qualunque esso fosse, si compisse al più presto.
Il mostro là fuori colpì il vetro con il palmo della mano destra. Una crepa si propagò a raggiera, finché la portafinestra esplose, proiettando frammenti di vetro all’interno della stanza.
Chiusi gli occhi e li coprii con le mani, ancora stupidamente seduta sul letto. Un’improvvisa secchiata mi sferzò violentemente da capo a piedi. Sentii in bocca il sapore dello zucchero. Appena l’ossigeno si fu fatto strada fino ai polmoni, arrivò la seconda ondata, e una corrente dal basso cominciò a allagare il letto.
Il livello dell’acqua nella stanza saliva, e io con lui, e ben presto finì lo spazio per respirare. Trattenni l’aria e cominciai a inabissarmi. Quando riuscii ad aprire gli occhi la vidi: mia sorella, nuda, bella come non mai. Il liquido aveva levigato il suo corpo, e forse anche il mio; lo aveva pulito e rimpicciolito.
Sono più giovane di te, ma se fossimo state gemelle, questo sarebbe stato il nostro congiunto affacciarsi alla vita. Una fugace serenità mi ha pervaso nel momento in cui, aperti gli occhi, ho capito quanto può essere dolce la morte.

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